Lincoln

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  1. rubio
     
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    DIETRO LA STORIA - 1861: negli Usa viene
    scatenata la guerra fra Nord
    e Sud per l'abolizione del barbaro istituto
    LA CROCIATA ANTISCHIAVISTA
    DEL BUON LINCOLN
    FU SOLO UN ABILE BUSINESS

    L'assurdo: durante la "nobile" lotta per la liberazione dei negri
    i soldati blù sterminavano sistematicamente il popolo indiano


    di PAOLO DEOTTO

    E' bello, e soprattutto tranquillizzante per la coscienza, pensare che gli avvenimenti storici siano determinati da grandi ideali. L'eroe purissimo che combatte per una santa causa e la vince (o, meglio ancora, la causa vince ma lui muore, pronunciando però un attimo prima di morire alcune frasi memorabili), è una figura fiabesca così bella che diventa facile credere che esista o sia mai esistita. Senza fare la figura dei cinici sfrenati, vorremmo notare come i Grandi Ideali difficilmente siano la causa dei grandi rivolgimenti politici, delle guerre, e di tutte le altre amenità che costellano la vicenda umana. E questo per un semplice motivo: chi realmente persegue i Grandi Ideali, se questi sono realmente Grandi, in genere non aspira al Potere, non raggiunge quelle posizioni di dominio che permettono di incidere sulla vita degli uomini e sulla politica. Nulla vogliamo togliere alla forza morale degli Ideali e di chi onestamente vive per essi; ma la forza morale è determinante solo sull'onda lunga dei decenni, se non dei secoli, e con modalità che non sono mai quelle della violenza che tanto caratterizza la storia umana. La Guerra di Secessione americana (o la ribellione degli Stati del Sud, per dirla con gli Unionisti, o la Guerra per la libertà, per dirla con i Confederati) è spesso spiegata, anche in frettolosi testi scolastici che, come studiosi di storia e come padri di famiglia ci danno un certo brivido, come una specie di Guerra Santa degli anti-schiavisti contro gli schiavisti, come un conflitto nato insomma specificamente per abolire l'istituto della schiavitù, che oggi appare ripugnante a chiunque (a dimostrazione del fatto che la forza morale agisce in tempi lunghi), ma che all'epoca era diffusissimo e in buona parte accettato, pur in una Nazione che era nata da un anelito di libertà e che costituiva un unicum di democrazia, confrontandola ad esempio alla vecchia Europa, nella quale il totalitarismo della Case Regnanti era la norma dell'organizzazione politica. E vorremmo quindi intrattenere i nostri amici lettori cercando insieme di capire meglio le cause che portarono allo scoppio di quella che fu definita la prima guerra moderna, non solo perché fu il banco di prova di tante nuove armi (mitragliatrici, fucili a retrocarica e a ripetizione, artiglierie ferroviarie ecc.) ma anche perché fu nella storia il primo conflitto che non coinvolse solo gli eserciti, ma in grado diverso investì ogni gruppo sociale, comportando l'impegno completo della vita di una nazione.
    Anzitutto ci sembra utile notare che in una Nazione come gli Stati Uniti, che in meno di settant'anni erano divenuti una repubblica transcontinentale e una potenza su due oceani, con una formidabile velocità di sviluppo che non ebbe pari nella Storia, il concetto stesso di Nazione era oggetto di discussione; e si trattava di discussioni che, dal piano puramente dottrinale del diritto costituzionale, sfociavano fatalmente sul piano pratico. Il punto focale era questo: l'Unione era Lo Stato o era semplicemente una federazione di Liberi Stati, che affidavano a un governo federale la competenza solo su alcune, ben specificate, materie? Per fare un esempio pratico, nel 1832, sotto la presidenza Jackson, la Carolina del Sud mise in atto, con una ordinanza di nullificazione le teorie del senatore Caldwell Calhoun. Di cosa si trattava? Il senatore Calhoun, rappresentante appunto della Carolina del Sud, aveva elaborato una teoria difensiva che partiva dal presupposto, generalmente accettato, che gli Stati in origine erano parti contraenti di un accordo (la Costituzione) per il quale il governo federale veniva limitato a certe funzioni. Ora, se un atto del governo federale esorbitava dai propri poteri, lo Stato che si riteneva danneggiato aveva il diritto di nullificare l'atto federale. In breve, il senatore Calhoun considerava lo Stato come arbitro ultimo dei limiti del potere costituzionale, negando questa qualifica alla Corte Suprema, perché, come emanazione del governo federale, non poteva essere giudice imparziale. E, se vogliamo tornare per un attimo all'introduzione un po' cinica del nostro studio, l'ordinanza di nullificazione della Carolina del Sud riguardava argomenti che ben poco hanno a che vedere con gli ideali: questa ordinanza infatti sospendeva l'esazione di tributi federali ritenuti ingiusti. Il Presidente Jackson rispose alla decisione della Carolina del Sud facendo approvare un Force Act (legge di emergenza) che lo autorizzava a servirsi delle Forze Armate per imporre il rispetto della legge federale.
    Il conflitto pareva imminente, ma la divergenza fu appianata con una revisione della tariffa da parte del Congresso e con la revoca dell'ordinanza di nullificazione da parte della Carolina del Sud, che tuttavia, in segno di sfida, nullificò il Force Act. La Carolina del Sud si proclamò vittoriosa nel conflitto, per fortuna solo cartaceo e tributario, e il Presidente Jackson si proclamò salvatore dell'Unione. Tutti contenti, dunque; ma il problema sotteso restava irrisolto e le teorie del senatore Calhoun resteranno negli anni successivi un punto di riferimento essenziale per i movimenti anti-unionisti. Abbiamo visto, in questo esempio, che la materia del contendere era di natura fiscale. Ora, le rivalità Nord-Sud, che maturarono per decenni fino a sfociare nella guerra del 1861-65, nascevano principalmente dalle diverse situazioni geografiche in cui si trovavano gli Stati che costituirono la prima Unione, e le conseguenti diverse strade che presero le rispettive economie. Gli stati meridionali si distinguevano per la ricchezza del suolo, per il clima caldo con la sua lunga stagione favorevole alle coltivazioni, e per il bassopiano costiero penetrato da fiumi soggetti alle maree. Erano tutti questi elementi favorevoli alla coltivazione intensa di prodotti, principalmente tabacco e riso, ampiamente superiori al fabbisogno interno e che quindi determinarono un grosso movimento di esportazione verso l'estero. Viceversa, gli Stati del Nord, che per condizioni ambientali potevano dedicarsi solo ad una coltura di sussistenza, ben presto indirizzarono le loro forze sull'industria, sulla pesca e sull'attività commerciale.
    Questi diversi modelli di sviluppo economico portarono alla costituzione di due tipi di società che, con tutti i limiti di ogni schematismo, possiamo definire come patriarcale con una ben articolata definizione di classi sociali (quella del Sud) e come mercantile (quella del Nord). Nel Sud la mano d'opera composta principalmente di schiavi era una necessità imprescindibile, dato il gran numero di lavoratori necessari per le colture. Al Nord si andava invece affermando la figura del salariato, dell'operaio libero, in attività che richiedevano numericamente ben meno personale, ma che puntavano di più sulla specializzazione. Si tratta, lo ripetiamo, di una schematizzazione, che ha i suoi limiti, ma che ci aiuta a capire un'altra conseguenza inevitabile: l'uomo del Nord tendeva ad essere più aperto, perché meno preoccupato di difendere una stratificazione sociale; anzi, il progresso sociale, la promozione dell'operaio da manovale a specialista, era un interesse essenziale per quell'economia; l'uomo del Sud invece tendeva a conservare uno status quo, perché la sua economia poteva mantenere quei ritmi e quella produttività solo se molte braccia, a bassissimo prezzo, lavoravano. Non c'era quindi spazio per alcun discorso di promozione sociale, né tanto meno di uguaglianza. Queste sono considerazioni che prescindono ovviamente da qualsiasi valutazione morale su un problema come quello dello schiavismo: sono pure constatazioni di dati di fatto. Né d'altra parte vogliamo figurare il popolo americano come una congerie di cinici, preoccupati solo di far quattrini. Il problema morale dello schiavismo esisteva, e una prima soluzione, seppur alquanto pilatesca, era stata data nel 1808, vietando l'importazione di nuovi schiavi dall'Africa.
    Ma all'epoca gli schiavi negri sul territorio dell'Unione erano già oltre due milioni, e con una spiccata tendenza alla riproduzione. Il divieto all'importazione non mutava una legislazione schiavista, che era affidata ai singoli Stati, all'interno dei quali non mancava il dibattito sulla materia, come non mancarono peraltro episodi di violenta ribellione (A Charleston nel 1822, in Virginia nel 1831), che, con l'inevitabile corollario di violenze, non fecero che rafforzare il senso di difesa conservatrice dei bianchi del Sud. Ma, tornando alle diverse organizzazioni economiche che si erano andate configurando nel Nord e nel Sud, notiamo che le stesse portarono altre conseguenze, anzitutto di tipo fiscale e doganale. Gli Stati del Nord, che al congresso federale detenevano comunque la maggioranza, in virtù della loro maggior popolazione, si trovarono ad imporre una fiscalità che serviva a favorire la realizzazione di una serie di infrastrutture, principalmente ferrovie e strade, indispensabili in una società in espansione industriale, che ha bisogno di favorire il più possibile il movimento sul territorio. Si pensi che tra il 1830 e il 1860 si costruirono 50.000 chilometri di ferrovie, si istituirono migliaia di società per azioni, mentre dall'Europa arrivavano quasi 5 milioni di emigranti; il valore annuale dei manufatti americani raggiunse la cifra di 1.885.000.000 dollari (dati del 1858). Questa situazione portava con sé anche la necessità di una politica doganale protezionistica, come mezzo per proteggere lo sviluppo interno. Al Sud, viceversa, era accaduto un altro tipo di rivoluzione.
    L'invenzione, nel 1793, della sgranatrice per il cotone di Eli Whitney aveva dato ulteriore vigore all'economia agricola; le piantagioni di cotone erano più facili di quelle tradizionali di riso e tabacco, potendosi estendere anche negli altipiani e nelle regioni interne; in pochi decenni il cotone avanzò di un migliaio di
    chilometri attraverso l'estremo Sud, fino al bacino inferiore del Brazos nel Texas, portandosi dietro lo schiavismo, la piantagione, tutto un modello cioè di società organizzata in modo diverso da quella Nordista, assolutamente anti protezionista, perché anzi tesa al commercio con l'estero, e che sempre più si sentiva vessata da una politica fiscale per la quale reputava di dover pagare dei prezzi per beneficiare solo l'economia industriale e mercantile del Nord. Il dibattito sullo schiavismo si incrociava con le differenti realtà economiche. Ma anche in un'altra materia il contrasto Nord-Sud si fece acuto: sul problema dei territori. Così erano denominate le regioni che via via venivano annesse all'Unione e che ancora non erano Stati. Gli abolizionisti volevano che la costituzione dei nuovi Stati comportasse anche, negli stessi, il divieto dello schiavismo; questa proposta era vissuta, dai grandi piantatori del Sud, come un tentativo che, celandosi dietro la maschera dell'umanitarismo, voleva in realtà chiudere loro la possibilità di espandere l'attività di coltura, per la quale la mano d'opera costituita dagli schiavi era irrinunciabile. I secessionisti più accesi, i cosiddetti fire-eaters (mangiafuoco), guidati da William Yancey, dell'Alabama, esortavano alla secessione, prima che "il Nord ostile soggiogasse completamente il Sud". Tra il dicembre 1860 e il marzo 1861 Carolina del Sud, Georgia, Florida, Alabama, Louisiana e Texas tennero delle convenzioni di secessione e formarono un'unione sudista, chiamandone alla presidenza Jefferson Davis, del Mississippi. Virginia, Carolina del Nord, Tennessee e Arkansas aderirono in seguito, per non obbedire all'ordine di mobilitazione che il neo eletto presidente dell'Unione, Abramo Lincoln, aveva emanato dopo l'apertura delle ostilità da parte del Sud, il 13 aprile del 1861, con il bombardamento del Forte Sumter, nella Carolina del Sud, dove una guarnigione nordista restava come spina nel fianco. La guerra, è utile notarlo, non fu tra stati schiavisti e stati abolizionisti. Quattro stati dell'Unione, che parteciparono al conflitto, Kansas, Missouri, Kentucky e Virginia Occidentale, erano schiavisti. Altri quattro stati, i due Dakota, il Nebraska e l'Oklahoma, quest'ultimo schiavista, si mantennero neutrali. L'ordine presidenziale con cui Abramo Lincoln dichiarava liberi gli schiavi a partire dal 1° gennaio del 1863, riguardava solo gli schiavi che appartenevano a proprietari "nemici dell'Unione".
    Era chiaramente un ordine teso a dare il colpo di grazia al Sud, la cui economia risentì non poco delle fughe degli schiavi, sicuri di andare verso la libertà rifugiandosi negli stati unionisti. Si creò così una curiosa situazione: dal 1° gennaio del 1863 fino alla fine del 1865, quando, già morto Lincoln, la schiavitù fu abolita in tutta l'Unione, era lecito avere schiavi nei quattro stati schiavisti del Nord ed illecito averli negli Stati del Sud. Senza voler nulla togliere al merito del Presidente Lincoln, che diede comunque il colpo di piccone al vacillante ed immorale istituto della schiavitù, vorremmo chiudere queste brevi note sui principi morali che guidano le azioni in politica proprio con una frase contenuta in un'intervista rilasciata da Lincoln stesso nell'agosto del 1862 al New York Times: "Il mio obbiettivo essenziale in questa battaglia è salvare l'Unione... Se potessi salvare l'Unione senza liberare un solo schiavo, lo farei e se potessi salvare l'Unione liberando tutti gli schiavi, lo farei ugualmente." INDIANI Se la Guerra di Secessione portò, tra gli altri risultati, anche la fine dello schiavismo, non possiamo scordarci che un altro problema di natura razziale travagliava il giovane stato americano: i rapporti con i pellerossa. Ed è interessante studiare come le due parti in conflitto affrontarono questo problema. Nell'autunno del 1862 la situazione nei territori del Sud-Ovest era estremamente difficile. Le tribù Apache, approfittando del ritiro delle forze militari, richiamate più a Nord allo scoppio della Guerra di Secessione, avevano messo a ferro e fuoco le zone del Nuovo Messico, del Texas e dell'Arizona, attaccando e distruggendo numerosi insediamenti dei bianchi, e compiendo moltissime uccisioni. Il Presidente della Confederazione del Sud, Jefferson Davis, aveva nominato governatore dell'Arizona il colonnello John R. Baylor, che pensò di dare rapida ed efficace soluzione al problema ordinando, alle forze da lui dipendenti, di uccidere a vista qualsiasi apache maschio adulto, dovunque venisse trovato, e di catturare donne e bambini, da vendere poi come schiavi.
    In una lettera datata 29 dicembre 1862 il colonnello Baylor fa presente al suo diretto superiore, generale Magruder, comandante del distretto confederato del Texas, Arizona e Nuovo Messico, che "Poiché gli Apache vivono quasi esclusivamente di rapine e di furti... è ormai opinione comune che lo sterminio di tutti gli indiani adulti e la schiavitù per i bambini sia l'unico rimedio... Il sistema è già in atto nel Nuovo Messico, ove non vi è famiglia benestante che non possieda schiavi indiani ottenuti in tal modo. Questo sistema per civilizzare gli Apache è tanto popolare che vi sono state molte iniziative per introdurre nella legislazione del Nuovo Messico una legge che consenta di rendere gli indiani schiavi a vita... " Non si può dire che il colonnello-governatore non avesse le idee chiare, e non le esprimesse chiaramente, al di là di un uso delle parole molto personale (francamente ci sembra che parlare di "civilizzare" gli indiani sterminandoli sia quantomeno curioso). Gli ordini di Baylor, nonché la lettera appena citata, vennero però anche a conoscenza del presidente confederato Jefferson Davis, che rimosse immediatamente lo spietato colonnello dal suo incarico, abrogandone le disposizioni. Non dovremmo comunque, almeno secondo una certa oleografia tradizionale, stupirci molto dell'iniziativa del colonnello Baylor: un ufficiale sudista, ergo schiavista, non può che essere una carogna.
    Però... però, l'anno dopo, 1863, i territori di cui trattiamo tornarono sotto il controllo delle truppe unioniste. Il comandante di zona delle giacche blu era il generale James Carleton, che si trovò ovviamente tra le mani la patata bollente degli Apache. Da buon soldato, anch'egli amava le soluzioni veloci e radicali: "Gli indiani hanno compiuto devastazioni e crimini di ogni genere... pertanto si
    dispone che gli indiani maschi adulti, indipendentemente dal fatto che siano o non siano in guerra con i bianchi, siano uccisi in qualunque momento e dovunque vengano trovati. Donne e bambini possono essere presi prigionieri, ma naturalmente non devono essere uccisi... ". Da notare, il capolavoro di ipocrisia costituito da quella parola "possono". Fortunatamente l'esecutore materiale di questa politica di sterminio fu il colonnello Cristopher "Kit" Carson, un uomo che aveva vissuto buona parte della propria vita tra gli indiani, imparando a conoscerli per ciò che erano realmente. La grande popolarità di cui godeva Kit Carson gli permise di disattendere, almeno in parte, gli ordini del generale Carleton. Per completezza bisogna anche ricordare che, mentre il governo di Jefferson Davis (come dicevamo sopra) aveva esautorato il colonnello Baylor, il governo di Abramo Lincoln non adottò alcun provvedimento nei confronti del generale Carleton. Bisognerà arrivare al 1868, con l'elezione alla Casa Bianca del generale Ulisse Grant, perché le autorità di Washington inizino una politica verso gli indiani indirizzata (almeno come tentativo) verso la pacificazione e la convivenza, anziché verso lo sterminio. Ma troppi anni di odio e violenza reciproci tra indiani e bianchi avrebbero lasciato il segno ancora per decenni. Siamo convinti che i fatti narrati si commentino da soli, e da soli siano più che sufficienti a chiarire quanto sia difficile, in tutti i conflitti, fare quelle distinzioni tra buoni e cattivi, così tranquillizzanti per le coscienze e così inesistenti nella realtà. Piuttosto ci sembra interessante soffermarci un attimo a riflettere sull'apparente contraddizione di un governo che da una parte affranca dalla schiavitù i negri e dall'altra avalla lo sterminio dei pellerossa. La contraddizione è, appunto, solo apparente: i negri manifestarono sempre il loro desiderio di integrarsi nella società americana, e lo fecero. Dopo il proclama di emancipazione degli schiavi, numerosissimi negri si arruolarono nelle forze unioniste e la storia degli USA è ricca di figure di negri che hanno raggiunto posizioni eminenti in politica, nelle forze armate, nelle attività economiche, nelle attività intellettuali. A parte fenomeni tutto sommato circoscritti (come quello delle Pantere Nere), il negro non è mai stato una minaccia per l'America. Il pellerossa invece si è sempre posto in chiara antitesi con un mondo e un modo di vita che non erano i suoi, ma che ciò nonostante gli venivano imposti. Il pellerossa difendeva la propria terra, e il diritto a mantenere la propria identità culturale e religiosa. Il pellerossa era l'eretico che considerava la libertà più importante dello sviluppo delle ferrovie o della ricerca dell'oro; addirittura, non conosceva l'uso del danaro. Era insomma quello che oggi si definirebbe un anti-sistema. Costituiva un pericolo mortale per il rullo compressore del progresso; e l'unico modo per difendersi dai pericoli mortali è eliminarli.
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    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


    Storia del Mondo Moderno, di AA. VV. - vol. X - Cambridge University Press - Ed. it. Garzanti, 1979

    Gli Stati Uniti, di R. Luraghi, in "Storia universale dei popoli e delle civiltà" - Ed. UTET, Torino 1974

    Uomini bianchi contro uomini rossi, di Gualtiero Stefanon - Ed. Mursia, Milano
    1985


    www.storiain.net

    In un altro forum questo articolo provocò una serie di insulti e di polemiche. Volevo scambiare qualche opinione con voi a riguardo

    Il mitizzato presidente scatenò la Guerra contro il Sud per ragioni economiche. L'antischiavismo? Un pretesto

    Abraham Lincoln,
    "apostolo dei neri"
    ma razzista Doc


    Teorizzò la ghettizazione: "Non sono uguali a noi"

    di MARIAN CECCHI
    Alle ore 22.07 di venerdì 14 aprile 1865 un colpo di pistola metteva fine all'esistenza terrena di Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti d'America, consegnandolo, più che alla storia, al mito. Il suo uccisore, John Wilkes Booth, un attore squinternato e alcolizzato, pensava di poter ancora capovolgere le sorti di una guerra già vinta dal Nord: il generale Lee, comandante in capo dell'esercito sudista, si era arreso cinque giorni prima ad Appomattox al generale Grant. Premendo il grilletto della sua pistola, Booth fece invece un grosso piacere all'uomo che tanto odiava: perché fermò Lincoln nel momento in cui questi era al sommo della gloria, e prima che iniziassero i drammatici problemi indotti dalla Guerra di Secessione. I suoi successori si presero i problemi, Lincoln si prese la gloria. E fin che si tratta della gloria derivante dall'esito vittorioso della Guerra di Secessione (come la chiamiamo noi europei), o della Guerra di Ribellione (come la chiamavano i nordisti) o della Guerra per la Libertà degli Stati del Sud (come la chiamavano i sudisti), non c'è nulla da dire. Il comandante vittorioso ha vinto, e basta. Quando si tratti però della gloria derivante dal "Proclama di Emancipazione degli Schiavi", e delle conseguenti qualifiche di Apostolo della Libertà e dell'Uguaglianza, crediamo che il personaggio meriti un'attenta rilettura: né con ciò, si badi bene, intendiamo sminuirlo. Siamo infatti convinti che la ricerca della Verità, che è un dovere per chi si occupa di storia, non possa che giovare anche ai personaggi che la storia l'hanno riempita da protagonisti: il piedestallo del mito spesso inizia a scricchiolare, cedendo poi rovinosamente e nascondendo sotto le sue macerie anche quanto di buono un uomo ha fatto. La dimensione umana è invece più modesta della dimensione del mito: ma proprio perché è vera è solida, e permette di salvare sempre, insieme agli immancabili errori, anche i meriti.

    UN POLITICO REALISTA. TROPPO. Lincoln Apostolo dell'Uguaglianza? Lincoln e la Guerra di Secessione e il Proclama di Emancipazione sono tra loro inseparabili. Ma ben prima il giovane kentuckiano (era nato a Hodgensville nel 1809), primogenito di modesti coloni quaccheri, aveva iniziato la sua attività "pubblica" e politica. A soli 23 anni, dopo le più varie esperienze lavorative, lo troviamo, col grado di capitano, a combattere valorosamente contro il capo indiano Falco Nero. E qui ci sembra necessario fare una piccola prima sosta di riflessione e di chiarimento. Gli indiani Sawk di capo Falco Nero si erano ribellati contro il "Removal Act" promulgato nel 1830 dal presidente Andrew Jackson, l'uomo che già anni prima, comandante militare del Sud-Ovest nella guerra tra Stati Uniti ed Inghilterra (1812-1815), aveva potuto dimostrare le sue capacità di affrontare il "problema indiano", sterminando a Horseshoe Bend (Alabama) più di novecento guerrieri Creek, sospettati di collaborazionismo con gli inglesi, in una battaglia che doveva esser stata un tantino impari, visto che i caduti americani furono ventisei. Nel 1818 Jackson, conducendo l'attacco e l'invasione contro la Florida (allora spagnola), dichiarava la sua intenzione di "spazzar via indiani e spagnoli in 60 giorni". E ci riuscì". Il brillante generale, divenuto nel 1828 Presidente, promulgò appunto quel "Removal Act" che era, nella sostanza, null'altro che l'ordine di deportazione delle cinque "nazioni indiane", i Creek, i Choctaw, i Chicasaw, i Cherokee e i Seminole dalla neo acquisita Florida, al di lˆ del Mississippi, nella regione dell'odierno Oklahoma, che sarebbe in seguito divenuta il "territorio indiano". Falco Nero riuscì" ad organizzare una ribellione corale (che tenne in scacco per oltre tre mesi le truppe federali) contro la forzata deportazione, che fu il primo di una serie infinita di atti il cui scopo era unicamente quello di sloggiare gli indiani dai territori che via via dovevano rendersi disponibili alla spinta colonizzatrice.

    La prima "uscita pubblica" di Lincoln altro non è quindi che la partecipazione in veste esecutiva a quella cinica politica di eliminazione del popolo rosso che purtroppo contraddistinse attività di gran parte dei governi americani (compreso il governo di Lincoln, come vedremo in seguito) nel XIX secolo. Non fu dunque razzismo quello consumato contro gli indiani, aggravato dal fatto che essi combattevano per il più elementare dei diritti: sopravvivere in casa propria?: parola orribile, anche per noi europei, che abbiamo visto sulle nostre terre i tragici risultati delle ideologie razziste. Ma è bene fare un chiarimento: schiavismo e razzismo sono due cose distinte, né il razzista è necessariamente schiavista. E Lincoln è l'esempio incarnato di come si possa essere razzista e combattere la schiavitù, non foss'altro perché, più intelligenti e lungimiranti di altri, si è intuito che questa istituzione è ormai avviata ad un'estinzione. Abbiamo fatto sopra una distinzione che sembra ovvia e banale, ma non lo è tanto, laddove si consideri che uno dei grossi temi della politica americana nella prima metà del secolo scorso fu proprio l'abolizione della schiavitù, per una serie di motivi che andremo ad esaminare, ma che anche i cosiddetti "abolizionisti" non nascondevano in genere le loro opinioni razziste, che senza dubbio erano rafforzate anche da quel mito, tipico dell'americano degli stati del Nord, del "self made man", dell'uomo della frontiera, mito sostanzialmente violento, che nasconde in sé i germi del razzismo, perché porta comunque ad esaltare le capacità di uomini e gruppi, lasciando in secondo piano un principio generale, che non andrebbe mai scordato: che l'uomo è degno di rispetto per il solo fatto di esistere.

    SCHIAVITÙ, UN PROBLEMA ECONOMICO Lincoln entra nell'agone politico nel 1834, restando deputato fino al 1849, anno in cui presentò una proposta di legge per impedire l'introduzione della schiavitù nei nuovi territori annessi dopo la vittoriosa guerra contro il Messico. Ritornò all'attività politica nel 1854, iniziando l'ascesa nel nuovo partito repubblicano, fino al suo insediamento alla Casa Bianca il 4 marzo del 1861 e la riconferma quattro anni dopo. In tutti questi anni Lincoln mantenne verso il problema della schiavitù un atteggiamento molto realista: era un'istituzione ormai anacronistica, ma che, al più, era da vietare nei nuovi territori, attendendo che negli stati dove invece era in vigore, si estinguesse da sola. Lincoln era infatti ben cosciente del fatto che un'abolizione subitanea della schiavitù avrebbe portato alla rovina l'economia degli Stati del Sud, dediti soprattutto all'agricoltura, nei quali la gran parte della manodopera per le grandi coltivazioni di cotone e di tabacco era rappresentata da schiavi negri.

    Da buon politico, Lincoln era appunto realista. E da buon americano (e interprete dei sentimenti delle masse) era razzista. della sua partecipazione attiva alla "soluzione del problema indiano". Ma esaminiamo quali fossero le sue opinioni sul "problema negro". "Devo dire che non sono, e non sono mai stato, favorevole a promuovere in alcun modo l'uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera; devo aggiungere che non sono mai stato favorevole a concedere il voto ai negri o a fare di loro dei giurati, né ad abilitarli a coprire cariche pubbliche, o a permetter loro matrimoni coi bianchi; riaffermo che esiste una troppo spiccata differenza tra la razza bianca e quella negra, e che questa diversità impedirà per sempre alle due razze di vivere insieme in termini di uguaglianza sociale e politica... finché la convivenza sarà necessaria, dovrà pur mantenersi un rapporto da superiore ad inferiore, e io, come ogni altra persona ragionevole, sono ovviamente a favore del ruolo dominante della razza bianca." (campagna elettorale del 1848).

    "PER I BIANCHI I NERI SONO DISGUSTOSI " Nel 1857 era lo stesso Lincoln che si preoccupava di sottolineare, in uno scritto, i suoi principi razziali, che rischiavano di essere travisati a causa di alcune sue prese di posizione contro lo schiavismo: "Esiste un naturale disgusto da parte di quasi tutti i bianchi all'idea di una mescolanza indiscriminata della razza bianca e di quella negra. Da parte mia, protesto contro quel tipo di logica bastarda secondo la quale dal fatto che io, ad esempio, non voglia avere come schiava una donna negra, si deduce che debba necessariamente poterla volere come moglie... Io non ho bisogno nè dell'una nè dell'altra... Sotto molti aspetti essa non è infatti uguale a me. Per me, la separazione delle razze costituisce l'unico sistema per evitarne la mescolanza."

    Per Lincoln esistevano quindi "due Americhe", sovrapposte e disuguali, e il sistema migliore era di separarle territorialmente, assegnando ai negri una parte del territorio dove avrebbero potuto vivere per loro conto. Per realizzare questo progetto fu anche costituita una "Commissione per l'Emigrazione" e stanziato mezzo milione di dollari dal Congresso. Potremmo dire che esistevano anzi tre Americhe, perchè c'erano anche gli indiani. Ma contro questi era più semplice proseguire la politica di sterminio. Infatti i negri (non scordiamoci che già dal primo censimento, eseguito nel 1790, risulta che risiedevano negli USA, su una popolazione di circa 4 milioni di persone, 750.000 negri, di cui quasi il 30 per cento erano liberi) erano in genere amalgamati nella società e, pur nelle loro specifiche caratteristiche culturali e religiose, la loro aspirazione esplicita era quella di far parte della nuova nazione americano e di partecipare al suo sviluppo.

    "STERMINATE GLI INDIANI SENZA PIETÀ " Gli indiani erano invece irriducibili difensori del loro diritto a vivere su quelle che erano da sempre le loro terre, secondo le abitudini ataviche, e risultavano per loro incomprensibili gli atteggiamenti dell'uomo bianco, che impazziva per l'oro (che gli indiani usavano al più per fare dei monili), che pretendeva di comprare tutto col "danaro", cosa a loro sconosciuta, che non manteneva la parola data, che pretendeva di imporre loro un tipo di vita che, giusta o sbagliata, non era la loro. Il "problema indiano", dicevamo, si affrontava con la logica dello sterminio. E valgano i fatti. La promulgazione, il 1° aprile 1862, dell' Homestead Act, sanciva che chiunque avesse compiuto i vent'anni d'età e non avesse mai preso le armi contro l'Unione aveva diritto ad ottenere un pezzo di terra nei territori di colonizzazione dell'Ovest, versando al Governo il prezzo, puramente nominale, di dollari 1,25 per un acro (un acro corrisponde a oltre quattromila metri quadrati). Questa legge, assieme alla decisione di avviare i lavori della ferrovia transcontinentale, fu la base giuridica per avviare il rullo compressore dell'espansione totale sui territori dell'Ovest, dove ad un certo punto la vera colpa dell'indiano divenne quella di esistere. Lo sterminio delle mandrie di bufali e la loro dispersione, conseguenze di una caccia indiscriminata da parte dei colonizzatori, furono già eventi di estrema gravità per la sopravvivenza stessa di tutti gli indiani delle praterie, ossia di quelle tribù nomadi per le quali il bufalo era il principale mezzo di sostentamento. E la ribellione degli indiani alla penetrazione nelle loro terre andava affrontata con decisione. Le truppe del Nord, allorché rioccuparono i territori del Sud-Ovest (eravamo già nel periodo della Guerra di Secessione) erano comandate dal generale James Carleton. Questi diede al colonnello Kit Carson, comandante di Fort Stanton, tra i monti del Sacramento (in pieno territorio apache), le direttive per le operazioni contro le tribù indiane: "La regione va disinfestata da tutte le tribù indiane, indipendentemente dal fatto che siano o meno in guerra contro i bianchi... gli uomini devono essere uccisi in qualunque momento e in qualsiasi luogo vengano trovati. Donne e bambini possono essere presi prigionieri, ma naturalmente non devono essere uccisi." Eravamo nel 1863.

    MASSACRI E DEMOCRAZIA Nell'anno precedente le stesse, identiche direttive, erano state impartite dal colonnello Baylor, comandante delle truppe Sudiste, che allora occupavano quelle regioni. Misure così crudeli suscitarono lo sdegno del presidente della Confederazione del Sud, Jefferson Davis, che rimosse il colonnello Baylor dal suo incarico di comando. Il nordista generale Carleton non subì lo stesso trattamento dal Governo di Washington, presieduto da Lincoln. Il genocidio non fu totale solo perché sia Carson che gli ufficiali da lui dipendenti erano uomini che avevano vissuto sempre in mezzo agli indiani, conoscendoli realmente, e non erano quindi animati da un odio indiscriminato. Ma l'azione moderatrice di Kit Carson non poteva mutare alle radici una politica che non fece altro che inasprire la spirale dell'odio per la quale, comunque, l' "unico indiano buono era l'indiano morto".

    La verità che si può leggere in questi fatti ci sembra evidente: per Lincoln, come per molti altri uomini del suo tempo, democrazia e disuguaglianza possono tranquillamente convivere. Se è vero che gli Stati Uniti rappresentarono un "unicum" sotto il profilo politico, in un'epoca in cui la ben più civilizzata Europa era ancora quasi tutta sotto il tallone di monarchie autoritarie, è altrettanto vero che questa giovane democrazia nasceva e si sviluppava in un clima di violenza e di discriminazioni, nonché di ipocrisie. Infatti solo di ipocrisia si può parlare per un paese che nel 1808 vieta la tratta degli schiavi (ossia la disumana "importazione" dalle terre d'Africa di mano d'opera forzata), ma si guarda bene dal vietare lo schiavismo al suo interno, rimandando la soluzione del problema alle legislazioni dei singoli stati. D'altra parte, pur col divieto di importazione di schiavi, si poteva sempre far conto sulla prolificità dei negri. E infatti gli schiavi negri, che nel 1800 erano 700.000, nel 1860 erano 3.500.000. Lincoln quindi non fu l'Apostolo dell'Uguaglianza e della Libertà, ma non fu neanche un bieco personaggio. Era un politico del suo tempo, che si trova a un certo momento a dover affrontare la più grave crisi che la nuova repubblica avesse mai affrontato, la secessione degli stati del Sud.

    ERA SOLO QUESTIONE DI DOLLARI E subito ci sembra necessario eliminare un grosso equivoco, che si trova addirittura su alcuni frettolosi libri di testo, circa le cause della guerra di Secessione. La guerra non scoppiò per il contrasto tra sostenitori della schiavitù ed abolizionisti. Le cause vanno ricercate principalmente in decenni precedenti di dissidi di natura economica tra gli stati del Nord e quelli del Sud, in una politica protezionistica seguita dal governo di Washington ed osteggiata dagli stati sudisti (perché favoriva gli stati industriali del Nord, deprimendo però le esportazioni cotoniere degli stati del Sud) e in contrasti sulla politica di colonizzazione dei "Territori" (così venivano chiamate le regioni via acquisite con l'avanzata verso Ovest). In questo contesto il mantenimento o meno della schiavitù era uno degli argomenti di politica economica, nè aveva molti dei connotati ideali che si sono in seguito voluti vedere. Infatti il progettato divieto della schiavitù nei nuovi territori non avrebbe fatto altro che favorire la mano d'opera industriale degli stati del Nord, diminuendo ulteriormente la possibilità di espansione degli Stati del Sud, e di conseguenza diminuendo sempre più, a livello federale, il loro peso politico. Ne ci si può scordare che uno dei problemi dibattuti già dall'inizio del secolo era addirittura quello istituzionale: gli Stati Uniti erano uno stato federale, o una confederazione di stati sovrani?

    A conferma di queste affermazioni basti il fatto che allo scoppio delle ostilità la Virginia Occidentale, stato schiavista, rimase fedele all'Unione, mentre gli altri stati schiavisti centrali, Missouri, Kentucky, Delaware e Maryland, mantennero una posizione neutrale, fornendo combattenti ad entrambi gli schieramenti.

    Il "Proclama" del 1° gennaio 1863 dichiarava l'emancipazione degli schiavi ma, si noti bene, degli schiavi posseduti dai cittadini degli stati secessionisti, quelli che avevano proclamato la "Confederazione degli Stati del Sud". Si generava così una situazione a dir poco curiosa: il Proclama non poteva avere effettiva applicazione negli Stati confederati, che ovviamente riconoscevano solo l'autorità del governo sudista di Richmond, presieduto da Jefferson Davis, mentre negli stati schiavisti rimasti fedeli al governo di Washington presieduto da Abraham Lincoln i proprietari potevano continuare a possedere schiavi legittimamente.

    UN PROCLAMA SPEZZA LE CATENE DEI NERI Solo dopo la conclusione della Guerra, e dopo la morte di Lincoln, gli Stati Uniti avrebbero abolito completamente la schiavitù sui loro territori, col famoso "tredicesimo emendamento" della costituzione, entrato in vigore alla fine del 1865. Non vogliamo certamente sminuire l'importanza storica del proclama, che fu comunque il punto di partenza per l'abolizione totale della schiavitù che, al di là di ogni discorso umanitario, era ormai un istituto anacronistico. Ne si dimentichi che gli Stati Uniti erano l'ultimo, tra i paesi civili, a consentirlo. Ci sembra però opportuno che il "Proclama" vada riletto con attenzione, alla luce di quello che era il principale compito che Lincoln si era prefisso: salvare l'unità della nazione. E infatti si legge nel testo stesso del provvedimento che esso viene adottato "come misura bellica conveniente e necessaria per annientare la sopraddetta ribellione (ossia la secessione degli stati sudisti, ndr).

    Bisogna infatti tener conto di due fattori di rischio esistenti al momento della promulgazione del Proclama: primo, i sudisti, inferiori per numero e per risorse economiche, erano però superiori per capacità militari. Occorreva dare alle popolazioni del Nord una nuova "motivazione" per continuare a combattere. E solo da quel momento la guerra divenne anche "guerra per i diritti di uguaglianza"; secondo, una presa di posizione decisa contro lo schiavismo si rendeva necessaria per evitare che diverse nazioni europee, e soprattutto la Francia e l'Inghilterra, riconoscessero la legittimità della Confederazione degli Stati del Sud, e potessero quindi addirittura intervenire a favore di questa. Infatti molti ceti dirigenti europei non nascondevano la loro simpatia per la Confederazione, ma pressoché tutte le parti politiche europee erano decisamente antischiaviste.

    LINCOLN, UN MITO PICCOLO PICCOLO Lincoln non fu un apostolo. Fu un politico, estremamente abile e astuto, razzista quanto necessario per non alienarsi le simpatie di un elettorato ampiamente razzista, antischiavista quanto necessario per realizzare quello che fu, come dicevamo, il suo compito supremo: salvare l'Unione. Ed è curioso notare come il mito sia spesso superiore agli stessi atti palesi dell'individuo mitizzato. E' infatti lo stesso Lincoln a dichiarare al giornalista Greeley, del New York Times, in un'intervista dell'agosto 1862: "Il mio obbiettivo essenziale in questa battaglia è di salvare l'Unione...Se potessi salvarla senza liberare un solo schiavo, lo farei. Se invece potessi salvare l'Unione liberando tutti gli schiavi, lo farei ugualmente".

    Poi arrivò la mano del folle omicida e Lincoln si presentò davanti a un Tribunale che meglio di noi, meglio dei suoi elettori di allora, meglio di chiunque altro avrà potuto valutare le sue azioni. Ma mentre per gli indiani continuava la politica di sterminio, che sarebbe durata fino al 1890 (massacro di Wounded Knee), ai negri veniva donata un'illusoria parità, che avrebbe richiesto ancora decenni di lotte per i diritti civili, tanti morti e tante sofferenze. E solo un anno dopo la morte di Lincoln, una luce sinistra avrebbe illuminato un altro capitolo dell'interminabile storia dell'intolleranza umana: la luce emanata dalle croci fiammeggianti del Ku Klux Klan.

    www.storiain.net
     
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  2. Antonio Gatti
     
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    Bah, quante cavolate.
    La crociata "antischiavista" di Lincoln semplicemente non fu tale questo va detto. Lincoln combatteva *per riunire l'Unione* distrutta da una minoranza razzista e retrogada che semplicemente non accettava il verdetto della democrazia. Una minoranza razzista e retrogada che teneva nell'ignoranza e nella miseria bianchi poveri e schiavi neri e che, non trovando miglior pretesto alla propria arroganza, decise *deliberatamente* di scatenare la più sanguinosa guerra mai combattuta dall'America. Perchè? Semplice: non volevano mollare i loro schiavi.
    Il partito di Lincoln (i repubblicani) non avevano nulla a che vedere con i moderni repubblicani di Bush. Ricordiamoci che stiamo parlando di 140 anni fa: in America non esistevano ancora "grandi industriali" nè a Nord nè a Sud, il modello economico imperante era: la piccola proprietà agricola e l'impresa autonoma di medie dimensioni. I pochi "grandi capitalisti" erano tutti schierati con il Sud con ilk quale erano alleati da decenni e dai traffici del quale ricavavno molti dollarini.
    Il partito repubblicano delle origini era un partito "di sinistra" (diremmo oggi) attento alle rivendicazioni sociali degli strati più poveri, favorevole all'integrazione razziale, tendenzialmente pacifista.
    Lincoln era un uomo molto onesto, con una grande fibra morale e sani principi il che non si può dire, ahimè, dei politici sudisti razzisti, ignoranti, guerrafondai (scommetto che nessuno conosce le spedizioni sudiste stile Quarto-Marsala solo andata per conquistare *con la forza* Cuba e le isole caraibiche alla Spgna) e senzza il minimo scrupolo a sacrificare vite umane ai loro interessi (=al loro cadreghino). Ricordo il massacro di Shelton Laurel nel quale 13 cittadini *sudisti* furono arrestati e fucilati (c'erano bambini sotto i 13 anni) senza processo dall'ineffabile Colonnello Keith sulla base delle seguenti imputazioni: non mostravano eccessivo zelo per la causa.
    Ah, ricordiamoci anche della distruzione di Chambersburg, del progettato incendio di New York (scopo: fare più vittime CIVILI possibili) di Andersonville, degli omicidi, stupri e linciaggi operati dalla cavalleria di Joe Weelher a danno della *propria* popolazione civile.
    Questo era il Sud. Oggettivamente, Lincoln era molto meglio ed è un bene che abbia vinto.

    Capitolo indiani: chi sa chi era il genio che propose lo sterminio di tutti gli indiani tramite pratiche di sterilizzazione e deportazione dopo averli debitamente usati per la guerra? Risposta: il mitico Jefferson Davis, presidente degli Stati Confederati d'America, così consigliato dal generale Kirby-Smith comandante del settore del Trans-Mississippi dal 1863.
    Ma certo, i nordisti erano "quelli cattivi".
     
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  3. rubio
     
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    Ho visto in Messico i danni dei cosiddetti "buoni"
     
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  4. Antonio Gatti
     
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    In Messico? Che c'entra il Messico?
    Io sto parlando di guerra civile, che c'entra Lincoln con il Messico?
     
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  5. rubio
     
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    Perchè successivamente alla guerra civile gli Stati Uniti iniziarono a praticare una politica imperialista a danno degli altri paesi e in particolare verso il Messico che con la fucilazione di Massimiliano d'Asburgo ha semplicemente cambiato padrone.

    Se ricordate bene dopo la guerra civile il KKK spadroneggiò in diversi stati del sud nonostante la vittoria dei nordisti e i negri continuarono ad essere considerati persone di serie B. Ci volle l'intervento dell'FBI e della Guardia Nazionale al tempo di Hoover negli anni sessanta.
     
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  6. Giudice Colt
     
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    Ma Lincoln mori' assassinato qualche giorno dopo la fine della Guerra......

    Inoltre mi pare che Massimiliano d' Asburgo venga fucilato qualche anno prima della Guerra Civile.....
     
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  7. Antonio Gatti
     
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    CITAZIONE (rubio @ 31/10/2006, 18:56)
    Perchè successivamente alla guerra civile gli Stati Uniti iniziarono a praticare una politica imperialista a danno degli altri paesi e in particolare verso il Messico che con la fucilazione di Massimiliano d'Asburgo ha semplicemente cambiato padrone.

    E che diavolo c'entra Lincoln con tutto questo?
    "Successivamente alla guerra civile" Lincoln era in paradiso e ahimè pare che lassù non si pratichino politiche imperialiste. In realtà, non si pratica proprio nessuna politica.
    Per quanto riguarda il KKK gioverà ricordare che i suoi fondatori e i suoi massimi leaders inizialmente furono quei sudisti che sembrano piacerti tanto.
     
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  8. rubio
     
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    Dopo il 1865 gli Stati Uniti, risolto il loro problema si riaffacciarono decisi ad applicare la dottrina di Monroe ammassando truppe lungo la frontiera con il Texas con il pretesto delle manovre militari quando in realtà cercavano il contatto con le truppe francesi per intervenire nel conflitto, con la guerra austro prussiana in Europa e la politica aggressiva dei piemontesi nei confronti dello Stato della Chiesa non poteva restare impegnato su due fronti (America ed Europa) per cui ordinò al generale Bazaine di rientrare. Che Lincoln fosse già morto poco importa la politica degli Stati Uniti quella era e se Lincoln non fosse morto avrebbe effettuato quella politica.
    Massimiliano d'Asburgo venne fucilato a Queretaro il 19 giugno 1867 alle ore 6.40.

     
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  9. Giudice Colt
     
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    CITAZIONE (rubio @ 1/11/2006, 10:27)
    Massimiliano d'Asburgo venne fucilato a Queretaro il 19 giugno 1867 alle ore 6.40.

    Ah,grazie per avermi sciolto il dubbio!! :D
     
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  10. Antonio Gatti
     
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    CITAZIONE (rubio @ 1/11/2006, 10:27)
    Che Lincoln fosse già morto poco importa la politica degli Stati Uniti quella era e se Lincoln non fosse morto avrebbe effettuato quella politica.

    No. La politica di Lincoln c'entra 0 con quella dei successori. Ovviamente Lincoln non ha ambizioni di politica estera e anzi essendo gli Stati Uniti del 1860 una potenza da terzo mondo confrotata con quelle europpe non può sperare di competere per il dominio mondiale. Può giusto immischiaresi negli affari di stati poverissimi e primitivi come il Messico e Cuba. Questi erano gli USA della metà del XIX secolo, quando Lincoln va alla Casa Bianca.
    Se tu consoscessi la situazione politica USA dell'epoca scopriresti che i repubblicani prebellici erano contrari a qualsiasi espansione mentre i tuoi amici sudisti *caldeggiarono* la guerra con il Messico e poi *organizzarono* clandestinamente spedizione per "liberare" Cuba e organizzare un "Empire for Slavery" come lo definì l'amico Alexander Stephens, futuro VP confederato.Lo scopo di queste spedizioni era appunto allargare la piantagione schiavista del Sud per ottenere più posti in parlamento (e quindi più peso elettorale) e controllare vita natural durante la politica USA.

    Quello che successe dopo la guerra, nella cosiddetta Gilded Age come la chiamò Twaine è proprio tutta un'altra cosa rispetto alla politica di Lincoln che era già morto. Secondo i tuoi metri di gidizio la politica di Bismarck è chiaramente nazista dato che il suo successore Hitler fu tale.
     
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  11. ymalpas
     
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    Ne Gli uomini che uccisero Lincoln ( # 449 / 50 ] Claudio Nizzi riscrive la storia del complotto facendo ricadere le responsabilita dell'assassinio del Presidente sulla parte nordista, tex infatti dice che il prezioso documento che dopo numerose traversie è riuscito a portare alòla Casa Bianca, contiene delle verità esplosive, prove tali da scagionare il sud ingiustamente accusato...

    Vorrei sentire il vostro parere su questa interpretazione e sull'impostazione storica ( o pseudo storica ) data alla vicenda da Claudio Nizzi.
     
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  12. Antonio Gatti
     
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    CITAZIONE (ymalpas @ 1/11/2006, 15:55)
    Ne Gli uomini che uccisero Lincoln ( # 449 / 50 ] Claudio Nizzi riscrive la storia del complotto facendo ricadere le responsabilita dell'assassinio del Presidente sulla parte nordista, tex infatti dice che il prezioso documento che dopo numerose traversie è riuscito a portare alòla Casa Bianca, contiene delle verità esplosive, prove tali da scagionare il sud ingiustamente accusato...

    Vorrei sentire il vostro parere su questa interpretazione e sull'impostazione storica ( o pseudo storica ) data alla vicenda da Claudio Nizzi.

    E' un fumetto.....qeusta tesi proprio non sta in aria. Al limite si può ricordare che John Wilkes Booth durante la guerra fu indagato a più riprese per avere intrattenuto rapporti con i servizi segreti *sudisti*
     
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  13. ymalpas
     
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    Il rapporto TEX-STORIA insomma si riconferma ancora una volta conflittuale.

    Molto probabilmente Nizzi è stato ipirato dalle tesi revisioniste su un altro grande attentato, quello in cui perse la vita Kennedy. Il dibattito come si sa non si è mai spento del tutto, lasciando campo libero alle ipotesi più fantasiose.

    Esiste già un topic più adatto a questo tipo di interventi ( anche se temporaneamente chiuso ), ma questo tipo di "avventure" le leggo sempre con un certo disagio, non parliamo di quella seguente che coinvolgeva Custer!

    Cmq grazie per la precisazione Antonio. Io anche leggendo uno dei tuoi bellissmi post in un'altra discussione, ho ritenuto giusto considerare plausibile anche l'ipotesi propugnata da Nizzi, mi pare di capire infatti che la politica di Lincoln fosse osteggiata anche da una componente nordista, le classificazioni nord=bene sud=male che deduco dalla tua tesi accorata, mi sembrano forse troppo semplicistiche.

    Vedere nella morte di Lincoln la vendetta del sud mi pare una cosa piuttosto difficile da credere, come sempre succede sono le ragioni politiche e economiche a dettare le regole e mi sembra assai probabile che fossero in molti a voler approfittare della sconfitta degli stati del sud. Non sono molto ferrato nella materia, considera dunque le mie parole un semplice invito alla riflessione :P
     
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  14. Antonio Gatti
     
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    CITAZIONE (ymalpas @ 1/11/2006, 16:55)

    CITAZIONE
    le classificazioni nord=bene sud=male che deduco dalla tua tesi accorata, mi sembrano forse troppo semplicistiche.

    Perchè? Cosa aveva di positivo il Sud (a parte la buona stampa degli storici di parte)?

    CITAZIONE
    Vedere nella morte di Lincoln la vendetta del sud mi pare una cosa piuttosto difficile da credere, come sempre succede sono le ragioni politiche e economiche a dettare le regole e mi sembra assai probabile che fossero in molti a voler approfittare della sconfitta degli stati del sud.

    Mah, sento citare spesso "ragioni economiche" che sembrano custodite meglio degli archivi segreti di X-Files. Insomma, ma a cosa vi riferite? Qualche cifra, nome, data?
    In realtà nessuno voleva approfittarsi della sconfitta del Sud, essendo economicamente una regione povera, arretrata, senza strade, senza scuole, senza igiene, con poche città malsane, con alta criminalità. Cosa c'era da sfruttare? Nulla.
    Purtroppo sembrano le solite invenzione dei sudisti che sembrano non riuscire a rasssegnarsi ad avere perso una guerra da loro stessi causata.

    CITAZIONE
    Non sono molto ferrato nella materia, considera dunque le mie parole un semplice invito alla riflessione

    Ci mancherebbe, ogni parere è accetto. Nessuno nasce imparato.
     
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  15. rubio
     
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    Infatti era opinione del mio professore di storia contemporanea all'università che gli Stati Uniti preoccupati per l'intervento francese in Messico mostrassero solo i muscoli Napoleone III non voleva comunque rischiare una guerra con gli Stati Uniti le manovre dell'esercito degli Stati Uniti all'epoca erano solo una dimostrazione di forza.
     
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20 replies since 12/10/2006, 12:54   1212 views
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