Buffalo Soldiers

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  1. Tex Fanatico
     
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    BUFFALO SOLDIERS


    “Ritengo che il nostro popolo si a capace di difendersi da solo e che non abbia bisogno della protezione offerta da una razza inferiore. I soldati devono appartenere all’etnia dominante, non a quella dominata…”


    A pronunciare queste offensive parole nei confronti dei più misconosciuti eroi del Far West – i soldati dei reggimenti “colored” dell’esercito degli Stati Uniti, quelli che saranno definiti dagli indiani, in forma tanto pittoresca quanto eloquente, “Buffalo Soldiers”, ovvero “i Soldati Bisonte” – fu un membro del Congresso, proprio in occasione del dibattito aperto sulla costituzione di reparti militari composti da afro – americani, sfociato, in seguito, nell’emanazione del Bill 138, con cui nacquero ufficialmente. La Guerra Civile era appena terminata, si era nel 1866, e la nuova sfida per l’America unita dal fuoco e dal sangue era rappresentata dalla conquista dei territori della Frontiera occidentale. Ma c’era un problema: quelle immense distese di pascoli, foreste e montagne ricche di giacimenti minerari pullulavano di indiani che, sebbene disposti ad accogliere amichevolmente sporadici insediamenti di uomini bianchi, difficilmente avrebbero tollerato un’invasione di massa dei loro territori da parte dei gruppi sempre più numerosi di pionieri ed immigrati che affollavano le città dell’Est. Quale risposta migliore, dunque, avrebbe potuto escogitare il pratico spirito calvinista che sta alla base dell’ “American Way of Life”, se non quella di impiegare contro gli odiati pellirosse gli altrettanto odiati, ma convenientemente asserviti, afro - americani?

    Già durante la Guerra d’Indipendenza, alcuni schiavi avevano combattuto al fianco dei loro padroni nella milizia di George Washington, ma è con la Guerra di Secessione che il tributo di sangue pagato dai neri alla costruzione della futura potenza mondiale diviene davvero ingente, soprattutto se paragonato all’esiguità dei miglioramenti sociali che ne derivarono per loro. Più di contottantamila “colored men” servirono, infatti, sotto le insegne dell’Unione e quasi trentacinquemila persero la vita, nel tentativo di difendere la politica egemonia degli stati settentrionali dai progetti di secessione alimentati dalla Confederazione del Sud. Fu, quindi, soprattutto a difesa dei potenti cartelli industriali dell’Unione che combatterono i Soldati Bisonte, costretti a fronteggiare, oltre alle durezze della guerra, anche il disprezzo razziale di cui furono costantemente fatti oggetto sia dai nemici sudisti sia dai loro stessi commilitoni in giacca azzurra. La situazione non cambiò quando, dopo la fine del conflitto, l’atteggiamento generale della popolazione verso i militari mutò radicalmente: dalla celebrazione patriottica di cui aveva goduto per tutta la durata della guerra, il prestigio delle armi trascolorò nell’indifferenza e poi nella manifesta intolleranza. Si capisce come a far le spese maggiori di questo clima siano stati proprio i soldati di colore, formalmente liberi, ma in realtà vittime di un’emarginazione sociale se possibile ancora maggiore.

    Il pregiudizio tanto radicato quanto feroce di cui furono bersaglio si espresse non soltanto nelle austere aule del Congresso ma anche, con estrema virulenza, sulle pagine dei più influenti quotidiani dell’epoca, che consideravano la promozione sociale dei neri al rango di difensori della patria poco meno di una bestemmia. Fiorirono così, tra lo sprezzante ed il sarcastico, aneddoti e impietose tirate sulla proverbiale inaffidabilità dei neri, sulla loro inferiorità morale ed intellettuale, sulla loro connaturata propensione al vizio e all’infingardaggine. Si aggiunga a questo il fatto che, quando erano in libera uscita, i militari afro – americani tornavano ad essere, per la maggior parte della popolazione, semplici “niggers”, vale a dire bersaglio di ogni scherno, senza che si dovesse temere da parte dell’esercito una qualche reazione. Ultimi tra gli ultimi, i soldati di colore non riuscirono a guadagnarsi il rispetto che il loro invidiabile ruolino di servizio avrebbe meritato. Combattenti senza gloria, si impegnarono, giorno dopo giorno, a proteggere l’avanzata della “civiltà” anglosassone e protestante verso l’Ovest. La stessa che li relegava da secoli nell’ombra e nell’ingiustizia.

    Il 3 agosto 1866, il generale Philip Sheridan, comandante della Divisione Militare del Golfo, autorizzo la formazione di un reparto di cavalleria di neri, il Nono Cavalleggeri. L’ufficio di reclutamento venne aperto a New Orleans, in Louisiana, quindi, alla chiusura di tale sede, a Louisville, nel Kentucky. La maggior parte dei coscritti proveniva da questi due stati e si trattava di veterani della Guerra di Secessione. Le liste d’arruolamento restarono in vigore per cinque anni; ai nuovi difensori dell’espansionismo bianco verso Occidente veniva offerta una paga di tredici dollari mensili, vitto, alloggio e vestiario. In questo senso, le condizioni di vita riservate ai reggimenti neri non erano peggiori di quelle sperimentate agli altri contingenti; ma era loro interdetta la possibilità di carriera militare (gli ufficiali proposti al comando erano inevitabilmente “visi pallidi”) e, in più, erano destinatari sia dei compiti più ingrati e delle sedi più disagiate, sia dei rifornimenti peggiori per qualità e quantità, e che non di rado giungevano con forte ritardo, a causa delle più spregiudicate manovre speculative. Si aggiunga a questo che i reparti neri vennero costituiti in regime di segregazione razziale (nessun afro – americano arruolato veniva destinato a servire in compagnie di bianchi) che non conobbe praticamente interruzioni fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando gli ideali discendenti dalle prime compagnie nere vennero nuovamente integrati nelle file dell’esercito senza distinzioni di razza. Il comando del Nono Cavalleggeri venne affidato al colonnello Edward Hatch, un ufficiale ambizioso e capace che svolse il suo compito in maniera encomiabile fino alla sua morte, avvenuta nel 1889. Il reclutamento di ufficiali bianchi alla guida dei reggimenti di colore fu, però, impresa tutt’altro che facile.

    Nonostante la possibilità di rapidi avanzamenti di carriere, non furono pochi gli ufficiali che rifiutarono l’incarico, considerandolo degradante, come, per esempio, George Armstrong Custer e Frederick Benteen. Al riguardo, risulta illuminante l’annuncio economico apparso su Army and Navy Journal, che è riportato qui di seguito: “Primo tenente di fanteria, collocato in eccellente posizione, desidererebbe operare un trasferimento con un ufficiale di pari grado e a pari condizioni di retribuzione, se in un reggimento bianco; in caso di trasferimento ad un reggimento di colore, sarebbe auspicabile un ragionevole incentivo”. Insomma, il fastidio di avere a che fare con tutti quei negri dovrà pur valere qualcosa, che diamine! Il Nono Cavalleggeri venne stanziato in Texas, nel giugno 1867, con incarichi di scorta ai convogli e alle diligenze, pattugliamento delle piste, costruzione e manutenzione di linee telegrafiche e guarnigioni, oltre ad occuparsi del mantenimento dell’ordine in un territorio alquanto turbolento. Assieme ai carriaggi degli emigranti, intorno ai villaggi sorti lungo le vie del bestiame o il tracciato della ferrovia in costruzione, giunsero all’Ovest banditi, giocatori d’azzardo, pistoleros, avventurieri d’ogni risma. A rendere più esplosiva questa miscela, ci si mettevano poi i contrasti tra gli allevatori per il controllo dei pascoli e tra gli allevatori ed i contadini, senza contare le scorribande di formazioni irregolari di ex soldati della Confederazione che si sentivano ancora in guerra e il profilarsi delle prime reazioni degli amerindi di fronte all’occupazione a tappeto delle loro terre. Questo, a grandi linee, era lo scenario nel quale furono chiamati ad operare i soldati del Nono; una sorta di calderone infernale nel quale si agitavano mille ragioni di conflitto, appetiti voraci, ambizioni, desiderio di rivalsa e di vendetta, lotta disperata per la sopravvivenza. Come se ciò non bastasse, poi, l’assegnazione al Texas di un reparto militare di colore venne usato dai bravi texani, sottoposti da Washington a condizioni di ricostruzione post – bellica particolarmente severe, come una deliberata intenzione da parte dell’Unione di umiliarli. I rapporti tra la popolazione locale e le truppe nere furono, perciò, ben lungi dal potersi definire idilliaci e spesso giunsero ad un livello di tensione allarmante. A dispetto delle difficoltà di ogni genere in cui si trovarono a prestare servizio, però, i soldati del Non fecero fronte ai loro impegni con efficienza e valore, confermandosi come uno dei contingenti più capaci e disciplinati dell’intero esercito degli Stati Uniti.

    L’inverno del 1875 e l’estate del 1876 videro il Nono Cavalleggeri marciare verso la nuova destinazione operativa e verso il suo nuovo compito: il Nuovo Messico, dove avrebbero dovuto occuparsi di spezzare la fiera e strenua resistenza che, da trecento anni, il popolo Apache opponeva alla penetrazione dell’uomo bianco nel suo territorio. Il moltiplicarsi degli episodi di ostilità tra nativi e coloni fu propiziato dalla decisione del governo di concentrare gli orgogliosi nativi in alcune riserve territoriali, allo scopo di consentire un più agevole e profittevole accaparramento delle loro terre da parte di allevatori e contadini bianchi. Purtroppo, la riserva principale tra quelle che avrebbero dovuto ospitare gli antichi abitanti del Nuovo Messico, ora ridotti in condizione di semi – prigionia, era quella di San Carlos, un’arida ed in ospitabile distesa di sabbia e rocce nella quale sarebbe stato impossibile vivere. Niente selvaggina, niente terra da coltivare, scarsi pozzi d’acqua, spesso secchi; in pratica, una lenta, inesorabile condanna a morte. La rabbia e l’umiliazione spinsero molti giovani guerrieri a ribellarsi e l’abbandono della riserva da parte di piccole bande di incursori divenne sempre più frequente. Contro questi disperati e valorosi combattenti, guidati da capi leggendari come Nana, Skinya, Victorio e Geronimo, vennero spedite le truppe del Nono e poi del Decimo Cavalleggeri.

    Già, perché il Nono non fu l’unico reparto di colore dell’esercito. L’anno successivo alla sua costituzione venne formato un altro reparto di cavalleria afro – americana, il Decimo, quello che si guadagnerà, per l’appunto, sul campo l’appellativo di “Buffalo Soldiers”, poi esteso anche al Nono e ai quattro reggimenti di fanteria (Trentottesimo, Trentanovesimo, Quarantesimo e Quarantunesimo). Il Decimo Cavalleggeri venne istituito a Fort Leavenworth, Kansas, nel 1866, e posto sotto il comando di Benjamin Grierson, veterano ed eroe della Guerra Civile. Fu proprio lui a stabilire dei parametri di selezione così elevati che le operazioni di arruolamento subirono uno slittamento di più d’un anno. Alla fine del luglio 1867, però, otto compagnie scelte erano state formate con soldati provenienti dai dipartimenti del Missouri, Arkansas e Platte. La vita di Fort Leavenworth, per il Decimo, fu tutt’altro che facile, a causa della dichiarata ostilità del comandante del forte all’arruolamento di soldati neri nell’esercito. Il trasferimento, più volte richiesto da Grierson, venne infine accordato, ed il Decimo si stanziò a Fort Riley. I successivi otto anni registrarono la presenza del Decimo in molti avamposti del Kansas e del Territorio Indiano (l’attuale Oklahoma). In linea di massima, i suoi compiti erano simili a quelli del Nono: scorta ai convogli ed ai cantieri della Kansas and Pacific Railroad, costruzione di linee telegrafiche, pattugliamento e mappatura del territorio. Nel 1867, il Decimo Cavalleggeri partecipò attivamente alla campagna d’inverno del generale Sherman contro Cheyenne, Arapaho e Comanche.

    Furono proprio i Cheyenne a battezzare i soldati neri con il nome di Soldati Bisonte, tanto in onore del loro coraggio nel combattimento, quanto per una significativa allusione alla capigliatura folta e crespa, per loro simile al vello che ricopre la testa a una parte del dorso dei bisonti. Nel 1875, il Decimo sposta il suo quartier generale a Fort Concho, nel Texas occidentale dove, tra il 1879 ed il 1880, sin incaricherà di reprimere la ribellione degli Apache guidati dal capo Victorio. Successivamente, trasferitosi il reparto in Arizona, nel 1885, il Decimo si trovò nuovamente a fronteggiare i bellicosissimi Apache, protagonisti di un’ultima stagione di lotta sotto la guida di irriducibili condottieri del calibro di Geronimo, Mangas Coloradas e Apache Kid. Gli ultimi anni del secolo ed i primi del Novecento vedono il Nono ed il Decimo Cavalleggeri impegnati in operazioni che oggi sarebbero definiti a seconda dei casi, “operazioni di polizia internazionale” o “interventi umanitari”: l’appoggio alle truppe governative messicane contro le forze rivoluzionarie di Francisco “Pancho” Villa e la partecipazione alla guerra ispano – cubana, nel 1898, promossa dall’ultima colonia di quello che fu l’immenso impero spagnolo tra il Sedicesimo ed il Diciottesimo secolo. A Cuba, i Buffalo Soldiers furono protagonisti di uno degli episodi più epici dell’intero conflitto, perciò, tralasciando ogni considerazione di ordine politico sul disegno di natura egemonica che tali campagne militari andavano profilando, ci congediamo dai nostri sottovalutati eroi mentre prendo d’assalto la collina di San Juan. Sulla cima, l’artiglieria spagnola spazza il terreno sottostante con micidiali granate e raffiche di mitraglia che aprono varchi tra le fila degli attaccanti, ma i Soldati Bisonte continuano ad avanzare, tenacemente orgogliosi di quella divisa che, almeno un poco, li aveva riscattati dal destino di sottomissione che l’America bianca aveva stabilito per loro.

    Quanti tra i cronisti dell’epoca non dedicarono la loro attenzione esclusivamente a Theodore Roosevelt ed ai suoi Rughe Riders (così venne ribattezzato il celebre Primo Reggimento volontario di Cavalleria), sottolinearono con dovuto risalto l’impegno delle truppe di colore, tanto nelle retrovie, dove si occuparono degli ospedali da campo, affrontando l’epidemia di febbre gialla che falcidiava i soldati, che sui campi di battaglia. Purtroppo, l’enfasi ed i toni favorevoli con cui molta stampa (bianca) del tempo salutò il coraggio dei Buffalo Soldiers si spensero con la stessa repentinità con cui il clamore dell’impresa li aveva suscitati. Ci vorranno ancora settant’anni perché l’America inizia a fare i conti, in maniera più durevole, con la propria storia, se non con la propria coscienza. A partire dal 1967, la pubblicazione del saggio di William Leckie, The Buffalo Soldiers, traccia il sentiero del definitivo riscatto delle truppe di colore e del contributo da loro offerto alla nazione; un sentiero che culminerà, nel 1992, in una cerimonia ufficiale tenuta dal generale Colin Powell (fortunato epigono dei primi, disprezzati soldati neri), per l’inaugurazione di una statua intitolata ai Buffalo Soldiers, a Fort Leavenworth, proprio il luogo dove era nato, centoventicinque anni prima, il Decimo Cavalleggeri. Che dite, qualche chilo di bronzo sarà un equo indennizzo per quasi un secolo di guerre combattute nell’indifferenza o nel dileggio dei più?



    Tex Fanatico
    alias: Shatka Hota & Wolf & Aquila Solitaria



    Testo di Mario Faggella, tratto da „TEX, Almanacco West“ anno 2003
     
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    Grazie per l'articolo ^_^ !
     
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  3. Tex Fanatico
     
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    De nada. Come vedi i meriti sono dell'almanacco West del 2003
     
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  4. due
     
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    Devo leggerlo!
     
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  5. Tex Fanatico
     
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    Se ti capita prendi / riprendi gli almanacchi.

    Spesso ci son temi interessanti (ed interessanti le sezioni dedicate ai film ed ai libri)
     
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    Che dite, qualche chilo di bronzo sarà un equo indennizzo per quasi un secolo di guerre combattute nell’indifferenza o nel dileggio dei più?

    Proprio no.
     
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  7. Tex Fanatico
     
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    :D passata una buona lettura?
     
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    Davvero interessante. Pensa che sino a pochissimi anni fa le uniche cose sui BS le sapevo per via di qualche didascalia e qualche loro azione ricordata su Tex :blink: ...
     
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  9. Antonio Gatti
     
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    L'articolo è interessante ma come al solito in questi casi abbastanza esagerato. La realtà è un'altra cosa.
    Bisogna sempre distiguere tra neri che vivevano (bene) al Nord e neri che vivevano (vivevano?) al Sud.
     
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    E che per poter continuare a campare nel corso dei decenni dovettero spostarsi nella 'Sweet Home Chicago" di robertjohnsoniana memoria.
     
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9 replies since 12/4/2006, 18:07   155 views
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