Eroi dimenticati

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  1. rubio
     
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    Apro questa discussione sugli eroi poco conosciuti della storia. Mio nonno ebbe l'onore di conoscere il generale Messe durante la guerra in Africa Settentrionale in Tunisia e nonostante poi nella seconda parte del conflitto mio nonno abbia combattuto con la RSI e il generale Messe con il Regno del Sud ne conserva sempre un buon ricordo


    Giovanni Messe

    Giovanni Messe nacque a Mesagne, in provincia di Brindisi il 10 dicembre 1883 ed entrò in servizio come volontario dell'esercito nel 1901. Nel 1910, dopo aver frequentato il corso di promozione speciale per Sottufficiali a Modena, venne promosso Sottotenente nella specialità di fanteria. Inviato in Libia, nell'ambito della Guerra Italo-Turca, partecipò a diversi scontri nella zona di Tripoli dove guadagnò sul campo le prime decorazioni, ma venne rimpatriato nel settembre del 1912 per motivi di salute. Rimessosi e promosso Tenente nel 1913 venne assegnato al III Battaglione dell'84° Reggimento di fanteria di stanza in Libia. Promosso ulteriormente capitano il 17 novembre 1915, Messe venne rimpatriato alla fine del 1916 per partecipare, sul fronte italiano, alla prima guerra mondiale.

    Durante la prima guerra mondiale Messe combatté con diversi reparti di arditi rimanendo ferito due volte, meritando diverse onorificenze per il coraggio dimostrato ed ottenendo due promozioni (a maggiore e tenente colonnello) per «merito di guerra».

    Finita la guerra, nel 1919, Messe venne assegnato al Deposito di Padova che lasciò per partecipare alle operazioni in Albania nel 1920, quando questa nazione cercò di rendersi indipendente dal protettorato italiano. Rientrato in Italia nel 1923, Messe venne nominato Aiutante di Campo effettivo del sovrano Vittorio Emanuele III: dopo quattro anni venne promosso colonnello e nominato Aiutante di Campo Onorario.

    Messe ottenne il comando del 9° Reggimento Bersaglieri che mantenne fino al 16 settembre 1935 quando venne promosso al comando designato della 3ª Brigata Celere di Verona. Dopo essere stato promosso generale di brigata ottenne il comando effettivo della Brigata Celere e successivamente venne nominato vicecomandante della Divisione Cosseria con la quale partecipò alle ultime fasi della campagna in Africa Orientale durante la conquista dell'Etiopia. Rientrò in Italia il 28 settembre 1936 e, dopo per aver ricoperto per breve tempo il ruolo di ispettore delle Truppe Celeri, venne promosso generale di divisione e comandante della 3ª Divisione Celere Principe Amedeo Duca d'Aosta (la precedente Brigata Celere nel frattempo riorganizzata come divisione).

    Nel marzo 1939 Messe venne nominato venne nominato vicecomandante del corpo di spedizione in Albania e partecipò, in questa veste, alle operazioni per la conquista del paese nel periodo immediatamente precedente lo scoppio della seconda guerra mondiale. Rientrato in Italia riprese il comando della della Divisione Celere fino ad abbandonarlo definitivamente dopo l'inizio della campagna greco-albanese durante la quale egli fu a capo del Corpo d'Armata Speciale. Gli ottimi risultati ottenuti nel periodo dicembre 1940 - aprile 1941 gli valsero la promozione per «merito di guerra» a generale di corpo d'armata.

    Rientrato in Italia, il 14 luglio 1941 Messe ottenne il comando dello CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) con il quale intraprese l'avanzata a fianco dell'alleato tedesco tra il fiume Dniepr e il Don. Nel luglio del 1942, il CSIR venne rinominato XXXV Corpo d'Armata ed inquadrato all'interno dell'ARMIR (Armata Italiana in Russia); Messe conservò il comando del XXXV Corpo fino al novembre 1942, quando divergenze di opinioni con il comandante dell'armata, il generale Italo Gariboldi, lo portarono a richiedere il rimpatrio.

    Rientrato in Italia alla fine del 1942 e nuovamente promosso al grado di generale d'armata, nel febbraio 1943 assunse il comando della 1ª Armata in Tunisia, riuscendo con perizia a ritardare la sconfitta delle truppe italo-germaniche. Per tale motivo, il 12 maggio 1943, venne promosso Maresciallo d'Italia. Il giorno successivo, 13 maggio 1943, le truppe italo-tedesche capitolarono ed egli venne fatto prigioniero.

    A seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943 Messe venne liberato dalla prigionia e, tornato in Italia, assunse la carica di capo di Stato Maggiore che mantenne fino al 1 maggio 1945. Venne collocato a riposo il 27 marzo 1947 e, nel 1953, venne eletto senatore della Repubblica.

    Giovanni Messe morì il 18 dicembre 1968, all'età di 85 anni.


    Bibliografia
    Giovanni Messe, La guerra al fronte russo, Mursia, 2005, ISBN 8842533483
    Giovanni Messe, La mia armata in Tunisia. Come finì la guerra in Africa, Mursia, 2004, ISBN 8842532568

    "http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Messe"


    Paul Emil von Lettow-Vorbeck

    La vita
    Nato in una famiglia di tradizioni militari a Saarlouis, von Lettow-Vorbeck studiò l’arte militare ricoprendo la carica di ufficiale di artiglieria. Inviato in Cina nel 1900 per reprimere la Rivolta dei Boxer, tra il 1904 e il 1908 ebbe poi il compito di soffocare la ribellione degli Ottentotti e degli Herero nell’Africa Tedesca del Sud-Ovest (corrispondente all’attuale Namibia). Ferito all’occhio sinistro, si vide costretto a ricevere cure mediche in Sudafrica. Durante la sua permanenza in questo paese, si guadagnò l’amicizia di Jan Smuts, suo futuro avversario nella Grande Guerra. Von Lettow-Vorbeck fu poi a capo del Secondo Battaglione della Marina Tedesca dal gennaio 1909 al gennaio del 1913. Comandò inoltre le forze note come “Schutztruppe” in Camerun.


    La prima Guerra mondiale
    Nel 1914, von Lettow-Vorbeck fu nominato comandante del piccolo contingente composto da 3.000 soldati e dodici compagnie di ascari nell’Africa Orientale Tedesca (l’attuale Tanzania). Allo scoppio della guerra, consapevole della necessità di agire, ignorò gli ordini provenienti da Berlino e dal governatore della colonia, il dottor Heinrich von Schnee. Von Lettow-Vorbeck si preparò dunque a respingere un assalto britannico anfibio presso la città di Tanga, dove tra il 2 e il 5 novembre del 1914 combatté una delle sue più celebri battaglie. Raccolti i suoi uomini e i suoi pressoché inesistenti rifornimenti, decise poi di attaccare le linee ferroviarie britanniche nell’Africa orientale, ottenendo una seconda vittoria presso Jassin il 18 gennaio 1915. Sebbene questa vittoria gli avesse permesso di catturare fucili e altri rifornimenti e di migliorare il morale dei suoi uomini, nello scontro von Lettow-Vorbeck perse anche molti combattenti esperti, tra cui l’espatriato inglese Tom von Prince.

    La strategia di von Lettow-Vorbeck era del resto piuttosto semplice: sapendo che l’Africa orientale rappresentava un teatro di scontro secondario, egli cercò di tenervi impegnato il più alto numero possibile di truppe inglesi, in modo tale da tenerle lontane dal fronte europeo e contribuire in tal modo alla causa tedesca.

    Dopo alcune sconfitte, von Lettow-Vorbeck decise di evitare lo scontro diretto coi britannici, optando invece per una tattica di guerriglia che lo portò a guidare incursioni nelle colonie britanniche del Kenya e della Rhodesia. Obiettivi scelti dal generale tedesco erano i forti, le ferrovie e le linee di comunicazione britanniche, sempre nell’intento di distogliere le forze inglesi dall’Europa.

    Von Lettow-Vorbeck riuscì a radunare circa 12.000 uomini, per lo più ascari, tutti però ben addestrati e molto disciplinati. Gli ascari in particolare divennero celebri per la loro lealtà e per la loro abilità militare. Egli stesso, del resto, riuscì a guadagnarsi il rispetto dei suoi uomini.

    Soccorse poi l'equipaggio dell'incrociatore tedesco SMS Königsberg (comandato da Max Looff e affondato nel 1916 dagli inglesi sul delta del fiume Rufigi), recuperandone molti cannoni che furono poi convertiti in pezzi di artiglieria per le battaglie sulla terraferma.

    Nel marzo 1916, le forze britanniche guidate da Jan Smuts sferrarono una formidabile offensiva (circa 45.000 uomini) contro le forze tedesche. Von Lettow-Vorbeck riuscì però a fare del clima e del territorio africano i suoi temibili alleati. Gli inglesi, tuttavia, continuarono ad inviare nuove truppe, costringendo il generale tedesco ad arretrare. Nonostante ciò, von Lettow-Vorbeck riuscì ad infliggere ai suoi avversari altre sconfitte, tra cui quella nella battaglia di Mahiwa dell’ottobre 1918, al cui termine i britannici lasciarono sul campo 1.600 uomini (a fronte di sole 100 perdite tra le forze tedesche).

    Consapevole della prossima sconfitta tedesca in Europa, von Lettow-Vorbeck riparò nella colonia portoghese del Mozambico, dove attaccò alcune guarnigioni portoghesi e dove raccolse nuove munizioni e uomini. Le forze tedesche rientrarono quindi nell’Africa Orientale Tedesca nell’agosto del 1918 ma solo per poi subito attaccare la Rhodesia (sfuggendo così alla trappola che gli inglesi avevano preparato loro nell’Africa Orientale Tedesca). Due giorni dopo la stipula dell’armistizio in Europa, von Lettow-Vorbeck vinse un’altra battaglia presso Kasama (13 novembre). Quando poi le voci sulla resa della Germania si rivelarono vere, anch’egli si arrese, seppur imbattuto, presso Abercorn, nel moderno Zambia (23 novembre 1918).


    La carriera dopo la guerra
    Dopo la guerra, von Lettow-Vorbeck si adoperò per riportare in patria i soldati tedeschi e per garantire il giusto trattamento dei suoi soldati africani. Incontrò anche Sir Richard Meinertzhagen, capo dell’Ufficio dell’Intelligence Britannico, suo grande nemico durante il conflitto.

    Tornato poi in patria nel gennaio del 1919, venne accolto come un eroe e promosso a generale maggiore (questo fu, curiosamente, l’ultimo atto del Kaiser tedesco prima della caduta della monarchia). Del resto, alla fine della prima guerra mondiale, il contingente di von Lettow-Vorbeck fu l’unica forza tedesca a cui fu tributata una parata di vittoria sotto la Porta di Brandeburgo : si trattava non solo dell’unica forza a non essersi mai arresa al nemico, ma anche di quella che aveva riportato varie vittorie contro forze nemiche soverchianti e, infine, dell’unica ad essere riuscita ad invadere con successo un territorio britannico.

    Diventato un attivista di destra, von Lettow-Vorbeck prese parte alle convulse vicende politiche della Repubblica di Weimar, sedendo nel Reichstag dal 1929 al 1930. Quale membro del DNVP, si oppose ai nazisti che, inizialmente, tentarono di usare la sua “leggenda” per la loro causa. Nel 1938, all’età di 68 anni, venne nominato “generale per specifici scopi” ma non fu mai richiamato in servizio. Dopo il 1945, si ritirò definitivamente dalla vita pubblica, con l’unica eccezione di un viaggio nella sua seconda patria, l’Africa orientale, dove ricevette una calorosa accoglienza da parte dei suoi vecchi ascari. Smuts e altri ufficiali sudafricani e britannici suoi ex-avversari riuscirono ad ottenere per lui una piccola pensione da pagare fino alla sua morte.

    Un suo giovane ufficiale, Theodore von Hippel, si servì dell’esperienza maturata in Africa per creare i Brandeburghesi, un commando tedesco dell’agenzia di intelligence Abwehr durante la seconda guerra mondiale.

    In occasione della sua morte, il governo tedesco decise di destinare una somma di denaro ai suoi ascari in Tanzania: vennero considerati beneficiari di tale sussidio quei veterani che ancora sapevano rispondere agli ordini di marcia impartiti in tedesco.

    Bibliografia
    von Lettow-Vorbeck, Heia Safari! Deutschlands Kampf in Ostafrika Leipzig, 1920.
    von Lettow-Vorbeck, My Reminiscences of East Africa (English translation of the above) ISBN 0898391547
    von Lettow-Vorbeck, Mein Leben Koehlers Verlaggesellschaft, Biberach an der Riss, 1957.
    Charles Miller, Battle for the Bundu: The First World War in German East Africa, MacMillan, 1974, ISBN 0025849301
    Byron Farwell, The Great War in Africa, 1914-1918, W. W. Norton & Company, 1989, ISBN 0393305643

    Collegamenti esterni
    Biography of Lettow-Vorbeck at First World War.com
    British article from 1964 giving a slightly biased account of the conclusion of von Lettow's campaign
    Website of the Lettow-Vorbeck family (has extracts from his autobiography Mein Leben)
    Summary of Oberst Paul von Lettow-Vorbeck's extraordinary military campaigns against the allies
    Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Emil_von_Lettow-Vorbeck"


    Se poi non vi piace cancellatelo. :huh:
     
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  2. rubio
     
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    Roberto BERETTA

    La resistenza e le morti dimenticate. Inchiesta (5). Brigate contro il Biancofiore
    tratto da Avvenire, 10.02.2004

    Molti semplici cattolici e dirigenti dc uccisi nel dopoguerra in Emilia Il caso di Giorgio Morelli, ex partigiano fatto eliminare dai suoi.


    Il primo partigiano a entrare in Reggio Emilia, alle 16.30 del 24 aprile 1945, fu un cattolico: Giorgio Morelli, nome di battaglia «Il Solitario». Si era fatto prestare una bicicletta da donna da Ermanno Dossetti (fratello del più noto futuro deputato-monaco Giuseppe) ed a cavallo dello scalcagnato mezzo si era spinto nella città ormai quasi abbandonata dai tedeschi. Issato il tricolore sul balcone del municipio.
    Reggio «la rossa» liberata da un «bianco»... O da una «Fiamma verde», se si preferisce: tale era infatti la denominazione delle formazioni partigiane cattoliche attivissime nel Reggiano, dove furono comandate addirittura da un coraggioso e lungimirante sacerdote, don Domenico Orlandini detto «Carlo». Così la montagna a Reggio era «verde», la pianura invece «rossa»: ovvero sottoposta al controllo delle locali Brigate Garibaldi, guidate dal commissario politico «Eros» Didimo Ferrari. E l'esplicita dialettica tra le due anime della resistenza non attese certo la liberazione per manifestarsi.

    Dopo il 25 aprile, tuttavia, i nodi - fin allora dipanati attraverso la mediazione del comando militare unico - vennero al pettine delle rispettive direttive ideologiche. Che per i comunisti sembravano assolutamente chiare e già erano state inculcate con capillare lavoro politico fin dalla clandestinità; mentre infatti i quadri superiori del Partito raccomandavano (come in questa direttiva del novembre 1944) di mantenere l'unità «colle masse cattoliche» e «ricordarsi sempre che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista e comunista», nel dettaglio era ben viva la sensazione che - subito dopo la fine del regime - i comunisti avrebbero usato le medesime armi per occupare il potere.
    Così, se «Eros» protesta contro la scarsa opportunità di potenziare le Fiamme Verdi, il battagliero «Carlo» fa sapere in giro che «se i comunisti scateneranno la rivoluzione, le formazioni montanare armate di cristiano-sociali piomberebbero loro alle spalle». Lo stesso Giuseppe Dossetti, che pure di nome di battaglia faceva «Benigno» e che nel dopoguerra sarà tra i democristiani più aperti alle sinistre, deve più volte stigmatizzare i metodi scorretti dei combattenti comunisti «per l'intensificarsi delle azioni arbitrarie di rapina... per l'aumentare delle uccisioni arbitrarie e senza controllo di pretese spie».

    Ma proprio «Il Solitario» era destinato ad essere prima il testimone, poi il martire delle stragi comuniste. Morelli (di famiglia molto cattolica: un fratello diventerà prete, una sorella missionaria) a 19 anni è l'anima del giornale partigiano La Penna, che uscirà solo per 4 numeri tra marzo e aprile del 1945, suscitando subito la massima riprovazione dei comunisti. In quel periodo Mario Simonazzi, già vicecomandante di una formazione partigiana «rossa» e amico di Giorgio Morelli, viene giustiziato con un colpo alla nuca; «Il Solitario» decide allora di indagare su quello strano assassinio (il corpo di Simonazzi, che non era comunista, verrà ritrovato a estate inoltrata) e sulle giustizie sommarie di cui Reggio diventa presto teatro.

    La Nuova Penna, rinata nell'autunno 1945, era così temuta che dovevano stamparla dai Benedettini di Parma, perché in provincia di Reggio nessuna tipografia poteva permettersi uno sgarro del genere ai comunisti. Gli articoli de «Il Solitario» sono ogni volta denunce documentate, con tanto di nomi di mandanti ed esecutori; e c'è, fin nei titoli, anche quello del potentissimo capo avversario, divenuto nel frattempo presidente dell'Associazione Partigiani provinciale: «Eros, per chi suonerà la campana?», è intestato un celebre articolo. Nel testo le accuse si rincorrono pesanti: «La nostra voce che chiede libertà ed invoca giustizia è una voce che ti fa male e che ti è nemica. Quell'"Inchiesta sui delitti" che tu, se fossi un uomo d'onore ed un uomo puro avresti per primo dovuto esigere e portare a termine è la vera causa della nostra cacciata dalla tua organizzazione. Noi abbiamo semplicemente chiesto che tra i patrioti veri della resistenza più non avessero a rimanere i delinquenti comuni, i ladri di professione, gli uomini con le mani sporche di sangue innocente»...

    E invece in Emilia gli omicidi «cannibalistici» - ovvero esercitati da antifascisti (ma comunisti) su antifascisti (spesso cattolici) - non cessarono per mesi; sul numero stesso delle esecuzioni sommarie le parti continuano ad accapigliarsi: per Reggio si va dai 2000 di fonte repubblichina agli oltre 400 calcolati dagli «antifascisti». Ancora una decina d'anni or sono l'uscita di un Martirologio, curato dall'Associazione delle Famiglie dei caduti della Rsi, provocò sui giornali locali un'aspra contestazione nome per nome. Comunque, anche lasciando da parte le uccisioni di sacerdoti, nel famoso «triangolo rosso» furono molti i trucidati dagli ex compagni solo perché credenti ovvero democristiani: per esempio il giovane partigiano dc Saturno Gagliardelli, il sindacalista Giuseppe Fanin (ammazzato nel novembre 1948), il segretario dc di Anzola Emilia (Bo) Luigi Zavattaro assassinato il 7 febbraio 1946... In provincia di Modena tra maggio e luglio 1945 vengono uccisi ben 4 dirigenti dc.

    I partigiani cattolici dunque sono stati doppiamente nel mirino: prima dei nazifascisti, poi dei comunisti. Come accusava il giornalista-partigiano Morelli, rivolgendosi ad Eros: «Nel nostro ultimo colloquio hai pronunciato queste parole: "Preferirei darvi un colpo di pistola che discutere con voi!"». Auspicio che si realizza anche per «Il Solitario» una sera di gennaio 1946; i colpi di pistola del solito agguato però non uccidono l'intrepido cercatore della verità, che fa in tempo a farsi vedere in Reggio con addosso l'impermeabile sforacchiato, a mo' di sfida e di memento. La morte arriva il 9 agosto 1947, in un sanatorio del Trentino dove «Il Solitario» tenta di curare la tubercolosi nata dalla ferita. Sul suo diario è rimasta questa frase: «L'odio non è mai stato ospite della mia casa. Ho creduto in Dio, perché la sua fede è stata la sola ed unica forza che mi ha sorretto».



    Amedeo Guillet

    Il 6 novembre 2001 il presidente della Repubblica conferiva ad Amedeo Guillet la Gran Croce dell'Ordine Militare d'Italia citandolo come "Luminoso esempio di cittadino e di soldato, fedele servitore dello Stato e benemerito della nazione, da additare alle future generazioni." La sua vita è stata oggetto di due biografie, la prima scritta da Dan Segre edita nel 1993 e intitolata "La guerra privata del tenente Guillet", la seconda scritta da Sebastian O'Kelly edita nel 2002 e intitolata "Amedeo - Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet un eroe italiano in Africa Orientale".
    Oggi, a 95 anni, Amedeo Guillet è presidente onorario della Associazione nazionale arma di cavalleria; vive in Irlanda ma torna sovente in Italia. L'ultima occasione è stata tra l'altro una mostra a lui dedicata dalla associazione culturale Eteria e inaugurata lo scorso 1° ottobre nelle sale del Palazzo Bertazzoli di Bagnolo Mella, in provincia di Brescia. Oltre alle immagini che ripercorrono gli episodi salienti della vita di questo protagonista della storia italiana del Ventesimo secolo, sono esposti numerosi cimeli provenienti dal museo nazionale dell'Arma di cavalleria di Pinerolo. Il più significativo è il medagliere di Guillet, ufficiale italiano vivente più decorato.

    L'atmosfera della cerimonia di inaugurazione è stata dominata dalla presenza di questo straordinario personaggio, nobile, ufficiale di cavalleria e ambasciatore. Come ricorda il suo biografo O'Kelly, "Amedeo Guillet è un uomo che si è distinto in ogni tipo di società si sia trovato ad agire, nel mondo sportivo dell'ippica come campione di raffinata classe aristocratica, in guerra come abile comandante, in diplomazia come ambasciatore in tutto il Medio Oriente e in India. … Nella sua vita Amedeo è stato sempre uno che ha dato, non uno che ha preso, uno che ha ispirato e ispira amore. E' stato, come egli stesso ama dire, un uomo fortunato. Più fortunati di lui, però, sono coloro che l'hanno conosciuto".

    Quest'ultima frase ha trovato piena conferma nelle sensazioni raccolte dai partecipanti alla cerimonia di inaugurazione della mostra. L'affabilità, la passione, lo spirito giovanile di Amedeo Guillet hanno colpito tutti, sorprendendo chi non aveva avuto la fortuna di averlo conosciuto in precedenza. Quella che poteva sembrare una delle tante manifestazioni culturali, più o meno di successo, è diventata una partecipazione corale e convinta di persone, giovani e meno giovani. Tutti sono rimasti affascinati dalla personalità di questo grande uomo solo in apparenza di altri tempi, in realtà lucidamente vicino al mondo di oggi.

    Amedeo Guillet è sopravvissuto a cinque ferite riportate in combattimento nelle diverse campagne condotte dopo la sua nomina a sottotenente di cavalleria nel reggimento Cavalleggeri di Monferrato nel 1932. I suoi teatri di operazione sono stati l'Etiopia, la Spagna, la Libia e ancora l'Africa Orientale, dove costituì il Gruppo Bande Amhara e combatté contro l'esercito britannico dal 1940 al 1941. Dopo la resa italiana proseguì per alcuni mesi con pochi superstiti della sua unità la "guerra privata" contro gli inglesi. Riparato fortunosamente nello Yemen, riuscì infine a rientrare in Italia in tempo per partecipare alla guerra di liberazione.

    Nel dopoguerra intraprese la carriera diplomatica come ambasciatore in Giordania, Marocco e in India, ma non dimenticò le sue vicissitudini in Africa Orientale dove tornò a più riprese per riabbracciare le tante persone che gli erano state vicine. Ritiratosi nel 1975 in Irlanda, ha continuato a dedicarsi ai cavalli, alla musica e alla pittura. Proprio in omaggio alla sua passione per la musica la cerimonia di inaugurazione della mostra di Bagnolo Mella si è conclusa con un concerto molto apprezzato dall'ospite d'onore che si è personalmente complimentato con il direttore del complesso bandistico della città.

    Anche chi già conosce questa singolare figura di italiano non può fare a meno di restare ogni volta stupito - ma più ancora contagiato - dalla sua vitalità. Piacevole sorpresa è stata anche la manifestazione, non solo per la capacità organizzativa dimostrata dai responsabili ma anche per la convinta partecipazione della gente. Lontano da televisioni, cronache giornalistiche, autorità presenzialiste.

    www.paginedifesa.it
     
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  3. rubio
     
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    Se c'è fra di voi qualcuno di Modena vi consiglio di leggere questo


    FULVIO SETTI MEDAGLIA D'ORO AL VALORE MILITARE


    Dal 27 settembre 1996 il 14° Deposito Centrale A.M. di Modena è intitolato alla memoria della Medaglia d'Oro al Valore Militare Col. Pilota Fulvio Setti. Fulvio Setti è molto conosciuto nella città Modena, dove nacque nel 1914, e visse per tutta la sua vita, fino al 1991. Fu una delle più importanti figure dell'Aviazione italiana durante la guerra, protagonista di eroiche imprese durante la Campagna di Russia e la Campagna d'Africa, prima e dopo l' 8 settembre, tanto da essere tra i pochissimi decorati di Medaglia d'Oro in vita. Il 1° Febbraio 1945, su proposta del Ministro Segretario di Stato per gli Affari dell'Aeronautica, Umberto di Savoia, Principe di Piemonte e Luogotenente Generale del Regno, conferiva con Decreto la Medaglia d'Oro al Valor Militare al Tenente A.A.r.n. Pilota Setti Fulvio da Modena.

    "Giovane ed abile pilota d'aeroplano ha compiuto intensa ed avventurosa attività di guerra. Comandante di una pattuglia di aerei da trasporto, dopo aver visto cadere in acqua tutti i suoi gregari, colpiti dalla caccia nemica, e benchè in difficili condizioni di volo per gravi avarie da colpi ricevuti proseguiva il viaggio sul mare sotto la minaccia di nuovi attacchi, anziché atterrare su un'isola vicina. Impossibilitato a proseguire per arresto di un motore, con abile manovra prendeva terra su una spiaggia e si preoccupava subito del salvataggio dei compagni naufraghi, della consegna del carico, della riparazione del velivolo e dell'apprestamento del terreno per la partenza. Per tre giorni successivi lottava con indomabile energia contro l'avverso destino che sovrastava le nostre forze armate allo scopo di rimettere in efficienza il proprio velivolo e rifiutava di prendere posto assieme ad altri Ufficiali piloti su di un aereo diretto in Patria. Riusciva poscia a sottrarsi alla cattura delle travolgenti forze nemiche e arrischiando gravi incidenti di volo si metteva al pilotaggio di un aereo in riparazione mancante di istrumenti e di seggiolini mentre l'aviazione nemica sorvegliava costantemente e con bombe e mitraglia impediva ogni movimento sui nostri campi. Raggiunto il proprio velivolo, nuovamente colpito, ne effettuava risolutamente il trasposto di notte e senza l'ausilio di alcuna luce egli che non era addestrato al volo notturno. Portava così in salvo il proprio equipaggio e numerosi altri militari. Esempio inflessibile forza d'animo sorretta e guidata da indomabile coraggio "

    Cielo del Mediterraneo e della Tunisia 5/6/7/8/ Maggio 1943.

    Fulvio Setti fu congedato nel 1946 con il grado di Tenente Pilota, e fu iscritto successivamente nel Ruolo d'Onore con il grado di Colonnello Pilota.

    Oltre che dalla passione per il volo, la vita di Setti fu contrassegnata anche dall'amore dello sport: negli anni '30 fu Campione italiano nei 110 a ostacoli, indossò la maglia azzurra nella Nazionale di atletica leggera, e dopo la guerra fu presidente provinciale del CONI per un trentennio

    www.aeronautica.difesa.it
     
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  4. Antonio Gatti
     
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    Rubio, sono un fan di Lettow-Vorbeck è purtroppo un soldato non molto pompato dal marketing (è tedesco e tedeschi e francesi non vanno molto forte nel nostro Paese ma io li preferisco).
    Sono disposto ad aprire una dibattito sull'argomento conosco tutte le battaglie di Lettow-Vorbeck al 100% avendo collezionato su di lui i seguenti volumi:

    -Andersson, Ross, "The battle of Tanga, 1914"
    -Farwell, Byron, "The Great War in Africa 1914-1918"
    -Hoyt, "I tedeschi che non persero mai"
    -Hoyt, "Guerrilla"
    -Rosselli, Alberto, "L'ultima colonia: la difesa dell'africa orientale tedesca 1914-1918"
    -Strachan, Hew, "First World War in Africa"

    Per esempio alla battaglia di Tanga coonosco l'esatta disposizione delle forze inglesi che era:

    27th (Bangalore) Infantry Brigade, contenente:

    Brigade HQ
    2nd Loyal North Lancashire Regiment
    63rd Palamcottah Light Infantry
    98th Infantry
    101st Grenadiers
    Brigade Signal Section

    Imperial Service Brigade, contenente:

    Brigade HQ
    13th Rajputs
    2nd Kashmir Rifles
    3rd Kashmir Rifles (1/2 battalion)
    3rd Gwalior Rifles (1/2 battalion)
    Brigade Signal Section

    Truppe "Force"

    Force HQ
    61st King George's Own Pioneers
    28th Mountain Battery
    North-Western Railway Volunteers
    Faridkot Sappers and Miners
    25 and 26 Railway Company, Sappers and Miners
    No 5 Pontoon Park
    No 3 Photo-Litho Section, Madras Sappers and Miners
    No 4 Printing Section, Madras Sappers and Miners
    Motor Cyclist Signal Section
    Field Post Office
    1/2 British Field Ambulance
    1 1/2 Indian Field Ambulance

    Ho mantenuto per correttezza l'esatta nomenclatura inglese delle unità se serve una traduzione posso aiutare.
    A proposito di eroi dimenticati, occupandomi soprattutto di guerre ed eserciti sono un fan di Napoleone (ça va sans dire) e del principe di Schwarzenberg il vincitore di Lipsia, la più grande battaglia pre-1914. Coordinare e comandare 900 cannoni e 356000 è un'impresa complicatissima in sé complicaterrima contro l'imperatore dei francesi e la sua guardia. Le manovre del 16 sono state geniali un continuo inventare nuovi fronti per distrarre truppe francesi dal campo di battaglia di Vachau (ottimo lo scontro di Liebetwolkvitz) con l'azione di Mervelt e quella di Giulay con Thielman, poi il vecchio Blucher fa l'attaccca brighe con Marmont e Napoleone che ha ormai perso l'iniziativa non può disporre di tutti quegli uomini e cannoni sparsi un po' qua e un po' la e non può vincere. Poi il 18 una regolare azione lenta da schicciasassi procura la vittoria. Il fatto che poi il ponte di Lindenau salti per aria e sfortuna. Ma Lipsia è una grande vittoria di Schwartzenberg.
    Altri condottieri dimenticati che prediligo a scapito di altri più pubblicizzati dal marketing sono: Gallieno, Aureliano, Arminio, Sapore I, Costantino, Federico Bianchi, Blucher, arciduca Carlo, Boroevic, arciduca Albrecht, Radetzky, Federico il Grande, Michele Ney, Zukhov.


     
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  5. rubio
     
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    Benissimo e allora che aspetti a metterli in questo post?
     
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  6. rubio
     
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    Non è un soldato ma lo considero comunque un eroe dimenticato dai suoi stessi superiori, una persona così dovrebbe essere rispettata anche da coloro che sono atei. Nel 2002 Papa Giovanni Paolo II faeva beato Escrivà ma su Romero si è sempre rifiutato di rispondere.

    Servo di Dio Oscar Arnulfo Romero Vescovo e martire

    Senza data

    Ciutad Barrios, 15 agosto 1917- San Salvador, 24 marzo 1980

    Vescovo di San Salvador, capitale del Salvador, è stato ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa. Ha difeso i poveri, gli oppressi, denunciando in chiesa e con la radio emittente della diocesi le violenze subite dalla popolazione. Pochi giorni prima di morire aveva invitato i soldati e le guardie nazionali a disubbidire all’ordine ingiusto di uccidere. La sua figura di “borghese” convertito in schierato per gli oppressi fa appello a ciascuno di noi per invitarci a non stare “al di sopra delle parti” ma a prendere le parti di chi non ha nessuno dalla sua parte.



    Arnulfo Romero nasce a Ciutad Barrios il 15 agosto 1917. Sin da giovanissimo matura la vocazione sacerdotale. A 12 anni entra nel seminario e dopo alcuni anni giunge a Roma per continuare gli studi. E' ordinato sacerdote nel 1942 nella cappella maggiore del Collegio Pio Latino Americano di Roma. Torna in patria e diventa parroco di Anamoros. Poco tempo dopo viene trasferito a San Miguel, dove resta fino alla nomina di Vescovo ausiliare di San Salvador. Dopo quattro anni, nel 1974 è Vescovo di Santiago de Maria, una delle diocesi più povere del paese sudamericano. Qui conosce da vicino le povertà del popolo salvadoregno e le ingiustizie che subisce. Nel 1977 è Arcivescovo di San Salvador in un momento in cui nel paese infierisce senza sosta la repressione sociale e politica. La nomina di Mons. Romero è ben vista dal potere: egli è un uomo di cultura non impegnato socialmente; un vescovo che avrebbe pensato ad una pastorale "spirituale" per il popolo, disincarnata completamente dalla vita e dalla storia della città e del paese. Pochi giorni dopo la sua elezione, uno dei suoi sacerdoti migliori e fedeli, il padre gesuita Rutilio Grande, viene assassinato. Mons. Romero passa tutta la notte vicino alla sua salma e ordina che sia celebrata una sola Messa di suffragio in tutta la diocesi. Il sangue di questo sacerdote -dirà più tardi- lo orienta verso i valori della giustizia sociale e della solidarietà verso i più poveri del paese. Nella sua prima Lettera Pastorale dichiara di volersi schierare apertamente dalla parte dei più poveri. Ogni domenica il popolo attende con ansia i suoi messaggi pronunciati nel corso delle celebrazioni nella cattedrale e diffusi in tutto il paese attraverso la radio. Il suo messaggio è quello di una vera e propria redenzione del popolo costretto a subire atti di violenza e di ingiustiza. Mons. Romero diventa così pericoloso: la Chiesa inizia a subire altri attentati. La stessa sorte di p. Rutilio tocca ad altri quattro sacerdoti. La voce di Romero è diventata la "Voz de los que no tienen voz", la voce di coloro che non hanno voce, una voce libera che invoca la pace.
    "Nel nome di Dio e del popolo che soffre -dice il giorno prima di essere assassinato- vi supplico, vi prego, e in nome di Dio vi ordino, cessi la persecuzione contro il popolo". Pace per Mons. Romero è avere la possibilità di parlare, di criticare e di dire pubblicamente la propria opinione. E lo testimonia con il suo comportamento quotidiano. Le sue omelie domenicali sono molto applaudite: applaudire è il solo modo che il popolo salvadoregno ha di manifestare il proprio diritto alla parola, in un paese dove non si concede tale elementare diritto.
    "Sappiamo che ogni sforzo per migliorare una società, soprattutto che è piena d' ingiustizia e di peccato, è uno sforzo che Dio benedice, che Dio vuole, che Dio esige".
    E' il 24 marzo 1980: Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, conclude la sua omelia durante la Messa vespertina. Pochi minuti dopo, al momento dell' Elevazione del calice, un sicario, entrato in quel momento nella piccola cappella dell' ospedale della "Divina Provvidenza" di San Salvador, spara e lo uccide. In ricordo di ciò, il 24 marzo è stato scelto come giorno per celebrare la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri, istituita dal Movimento giovanile missionario delle Pontificie opere missionarie.
    Il cardinal Roger Etchegaray nella prefazione al volume "Oscar Romero: un vescovo centro-americano tra guerra fredda e rivoluzione", scrive: "Mons. Romero era un uomo mite che aveva orrore della violenza in un paese segnato dalla violenza. I suoi nemici, fautori di prospettive violente, non sopportavano la sua affermazione della dottrina sociale della Chiesa, non accettavano la sua richiesta di pietà e giustizia. Tanto da ucciderlo. La vita di Romero non si può riassumere con degli slogan perchè non lo consegnano alla storia come merita. Ne riducono la statura. Lo costringono in una gabbia di uno scontro ideologico."
    Una delle caratteristiche dell' apostolato di questo pastore e vescovo della Chiesa cattolica è il servizio alla Parola di Dio che Romero ha pagato con la vita. I suoi discorsi e pensieri sono uno stimolo per destare le coscienze e riconoscere la responsabilità individuale e collettiva di ciascuno per il mondo in cui viviamo, rischiarata dalla speranza nella vittoria dell' amore.
    Quello del 24 marzo è un anniversario di dolore e di inquietudine per chi crede nel ricordo di questo "zelante pastore che -ha detto Giovanni Paolo II inginocchiandosi sulla sua tomba- per amore di Dio e per servire i fratelli arrivò fino ad offrire la sua vita, troncata da morte violen-ta, mentre celebrava sull' altare il sacramento del perdono.
    Monsignor Romero in mezzo al suo popolo che soffre per l' ingiustizia, la repressione, lo sfruttamento, capisce che sono i poveri, gli oppressi che devono segnare il cammino della Chiesa: questa è la grande scelta e il più grande insegnamento di questo Pastore. La sua voce diventa quella di un popolo, quello salvadoregno, sfruttato da secoli e che comincia finalmente a prendere coscienza dei propri diritti per ottenere la vera pace. Egli non fu un semplice funzionario della Chiesa, ma un "Buon Samaritano" che viene in aiuto di tutti i poveri ed i bisognosi, vittime dell' ingiustizia e dell' indifferenza. Il suo esempio ha lasciato un segno profondo: la sua tomba è meta di pellegrinaggio per invocare la sua intercessione per la giustizia e la pace per il mondo intero.
    Ultimamente, è stato aperto il processo per la causa di beatificazione.

    PREGHIERA A MONS. ROMERO

    Noi t’invochiamo, vescovo dei poveri,
    intrepido assertore della giustizia, martire della pace!
    Ottienici dal Signore il dono di mettere la sua Parola al primo posto.
    Aiutaci a intuirne la radicalità e a sostenerne la potenza,
    anche quando essa ci trascende.
    Liberaci dalla tentazione di decurtarla per paura dei potenti,
    di addomesticarla per riguardo di chi comanda,
    di svilirla per timore che ci coinvolga.

    Non permettere che, sulle nostre labbra,
    la Parola di Dio s’inquini con i detriti delle ideologie.
    Ma dacci una mano,
    perché possiamo coraggiosamente incarnarla nella cronaca,
    nella piccola cronaca personale e comunitaria,
    e produca così storia di salvezza.
    Aiutaci a comprendere
    che i poveri sono il luogo teologico dove Dio si manifesta,
    il roveto ardente e inconsumabile da cui egli ci parla.
    Prega, vescovo Romero,
    perché la chiesa di Cristo,
    per amore loro, non taccia.


     
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    Da notare l'atteggiamento ambivalente di djedushka Karol: prima s'inginocchia alla sua tomba, poi fa santo uno che santo non lo è mai stato, Escrivà de Balaguer. Ho la nausea :sick: ...
     
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  8. rubio
     
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    Giovanni Palatucci

    Nato a Montella (Avellino) il 31 maggio 1909, morto a Dachau il 10 febbraio 1945, avvocato, funzionario di Pubblica sicurezza, Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria.

    Il padre di Giovanni Palatucci lo avrebbe voluto avvocato in Irpinia, ma lui, dopo il Liceo a Benevento, era partito, era il 1930, per il servizio militare in Piemonte. Di stanza a Moncalieri, aveva sì completato gli studi di Giurisprudenza a Torino, laureandosi a 23 anni con una tesi in Diritto penale, ed aveva anche superato gli esami per Procuratore legale, ma l’avvocatura non lo entusiasmava.
    Nel 1936 era a Genova, come vice Commissario aggiunto di P.S. Ci rimase poco. Non era, infatti, per nulla incline al conformismo, così ai primi del 1938 venne “esiliato” alla Questura di Fiume. Qui divenne Commissario e poi Questore reggente, con la responsabilità dell’Ufficio stranieri. Grazie a questo ruolo, con le leggi razziali in vigore, svolse con gran rischio personale un’intelligente attività a favore di ebrei italiani e stranieri. È stato calcolato che, distruggendo archivi e procurando documenti falsi, abbia, nel giro di sei anni, salvato dalla deportazione (anche con la collaborazione di uno zio, vescovo della Diocesi di Campagna) almeno cinquemila persone.
    Palatucci continuò la sua generosa attività anche durante l’occupazione nazista di Fiume. Ad un certo momento il C.L.N. fiumano, nel quale Palatucci era entrato con il nome di dott. Danieli, fu informato che i nazifascisti avevano cominciato a sospettare della sua attività; a Palatucci fu consigliato di mettersi in salvo, ma lui rifiutò: una sua fuga, disse, avrebbe messo in difficoltà i sottoposti che lo avevano aiutato.
    Arrestato nella sua casa, il 13 settembre del 1944, dalla polizia di sicurezza germanica, il Questore di Fiume – che non aveva fatto nomi nonostante le torture - fu condannato a morte per “cospirazione e intelligenza con il nemico”. La pena fu poi commutata nella deportazione e, quaranta giorni dopo l’arresto, Giovanni Palatucci entrava nel campo di Dachau con il numero di matricola 117826. Vi sarebbe morto, in seguito agli stenti e alle sevizie patite, due mesi prima della liberazione del campo.
    Per lungo tempo in Italia, fuori della ristretta cerchia degli specialisti e dei compaesani, il nome di Giovanni Palatucci è stato quello di uno sconosciuto, anche se già dal 1952 in Israele gli avevano attribuito il titolo di “Giusto tra le nazioni”. È stato merito di Goffredo Raimo, con il suo libro A Dachau, per amore, del 1989, se il nome di Palatucci è tornato nella memoria storica del nostro Paese, tanto che nel 1995, in occasione della festa della Polizia, l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, conferì a Palatucci la Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria. A questo tardivo riconoscimento, seguì, nell’aprile del 2000, uno “speciale” della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”; nel settembre del 2001, la RAI ha dedicato all’eroico funzionario di Polizia uno sceneggiato in due puntate dal titolo Senza confini. Il 13 settembre 2006 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della manifestazione promossa dal Comitato Giovanni Palatucci, per presentare il volume Bad Times, Good People, sulla vita dei deportati nel campo di concentramento di San Bartolomeo, ha inviato al Presidente del Comitato, dott. Michele Aiello, un messaggio in cui ricorda la figura del dott. Palatucci, ultimo Questore di Fiume italiana, morto nel campo di sterminio di Dachau, come "esempio eroico di coraggio e solidarietà a tutela del valore più alto proclamato dalla Costituzione repubblicana, la dignità umana. La sua straordinaria lezione di generosità e di altruismo ha contribuito a riscattare il nostro Paese dalla vergogna delle leggi razziali dimostrando come in significative occasioni gli italiani seppero anteporre le ragioni della loro coscienza alla violenza della dittatura. La testimonianza di tutti coloro che hanno vissuto quei drammatici avvenimenti richiama ancor oggi al dovere della memoria, soprattutto nel rapporto con i giovani, affinché si consolidi il rifiuto dell'intolleranza, e dell'odio razziale, e si diffonda il ripudio di ogni forma di intolleranza in favore del rispetto delle diverse identità culturali e religiose dei popoli."

    www.anpi.it

    Giorgio Perlasca


    Giorgio PerlascaGiorgio Perlasca (Como, 31 gennaio 1910 - Padova, 15 agosto 1992), commerciante italiano, divenne famoso quando fu reso noto che egli aveva salvato la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi durante la seconda guerra mondiale, strappandoli alla deportazione nazista.

    Biografia
    Da giovane Perlasca aderì in modo convinto al Partito Fascista e combatté come volontario in Africa orientale e poi in Spagna in appoggio alle truppe golpiste del generale Francisco Franco, dove rimase come artigliere fino al 1939.

    Al principio della seconda guerra mondiale Perlasca si trovò a lavorare prima in Iugoslavia e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, in qualità di agente per una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini).

    Il giorno dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Re, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo si trovò ad essere ricercato dai tedeschi, che intendevano arrestarlo per tradimento, e fu costretto a trovare rifugio presso un’ambasciata spagnola.

    Ottenuti dall'ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, si trasformò in «Jorge Perlasca» e venne impiegato dall'ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati all'uopo in «case protette» dietro il rilascio di salvacondotti. Tale operazione era stata organizzata con la collaborazione di alcune ambasciate di altre nazioni.

    Quando nel novembre 1944 Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l'Ungheria, per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise di restare e di spacciarsi come sostituto del console partente, redigendo di suo pugno la nomina ad ambasciatore con tanto di timbri e carta intestata.

    Da quel momento Perlasca si trovò a gestire il "traffico" di migliaia di ebrei, nascosti nell'ambasciata e nelle case protette sparse per la città. Tra il 1° dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945 rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, arrivando più volte a strappare letteralmente dalle mani delle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.

    Si calcola che grazie all'opera di Perlasca circa 5.200 ebrei furono salvati dalla deportazione.

    Dopo l'entrata a Budapest dell'Armata Rossa, Perlasca venne fatto prigioniero dai Sovietici e liberato dopo qualche giorno. Tornato in Italia, riprese la sua vita di prima senza troppi clamori. Dai pochi a cui tentò di raccontare la sua vicenda non fu creduto. Soltanto nel 1987, oltre quarant'anni dopo, alcuni ebrei ungheresi residenti in Israele rintracciarono finalmente Perlasca (reputato da molti un cittadino spagnolo) e divulgarono la sua storia di coraggio e solidarietà. Perlasca ha ricevuto per la sua opera numerose medaglie e riconoscimenti.

    Il 23 settembre 1989 fu insignito da Israele del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni Al museo Yad Vashem di Gerusalemme, nel vialetto dietro al memoriale dei bambini è stato piantato un albero a lui intitolato.

    Giorgio Perlasca è morto a Padova il 15 agosto 1992 all'età di 82 anni.

    La RAI il 28 e 29 gennaio 2002 in occasione del giorno della memoria ha mandato in onda il film TV Perlasca. Un eroe italiano. Nel film viene raccontata la vita di Perlasca dal suo lavoro a Budapest fino al suo ritorno in Italia dopo la fine della guerra.


    Onorificenze
    Giusto tra le Nazioni (Israele)
    Medaglia d’Oro al Valor Civile (Italia)
    Grande Ufficiale della Repubblica (Italia)
    Stella al Merito (Ungheria)
    Onorificenza di Isabella la Cattolica. (Spagna)

    Bibliografia
    Giorgio Perlasca, L’impostore, Il Mulino
    Enrico Deaglio, La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli ISBN 8815060898
    Teresio Bosco, I novanta giorni di Giorgio Perlasca, salvatore di ebrei, Elledici editore ISBN 8801023510


    Dopo la costituzione della repubblica di Mussolini un certo numero di piloti
    restarono al nord e ricostituirono l'aviazione. Al loro attivo missioni eccezionali

    GRUPPO AEROSILURANTI BUSCAGLIA:
    UN LAMPO DI EPOPEA SULLA RSI

    di Alberto Rosselli


    Nell'autunno del 1943, il capitano Carlo Faggioni - ex compagno d'arme dell'asso degli aerosiluranti della Regia Aeronautica Carlo Emanuele Buscaglia e di tanti altri valorosi piloti della specialità che per oltre tre anni, ai posti di comando dei loro grossi Savoia Marchetti SM79, avevano saputo infliggere alla Royal Navy tante dure perdite - decise, assieme ad un gruppo di suoi commilitoni, di dare vita ad un nuovo Corpo Aerosiluranti sotto le insegne della neonata Repubblica Sociale Italiana.
    Un'impresa che apparve subito molto ardua un po' per la carenza di aerei, mezzi e personale specializzato e un po' per l'atteggiamento se non proprio ostile almeno diffidente del Comando Supremo Tedesco. Erano passati appena un paio di mesi dalla firma del vergognoso armistizio dell'8 settembre, e la Germania, pur favorendo la nascita della RSI e consentendo a Mussolini di risalire la china della sconfitta, non vedeva di buon occhio iniziative di carattere militare proposte dai nuovi alleati della Repubblica Sociale Italiana che andassero oltre quelle da essi contemplate. Nell'ottobre del 1943, il Comando della Luftwaffe, dietro parere favorevole di Hitler, aveva consentito la costituzione di una Milizia, di un piccolo esercito (composto da tre divisioni che si sarebbero dovute addestrare in Germania), e la creazione di una modesta Aviazione e di un'ancora più modesta Marina Repubblicane, ma - per quanto concerneva proprio la ricostituzione delle specialità dell'Aviazione - aveva concesso soltanto la messa a punto di reparti caccia e da trasporto, negando la rinascita di reparti da bombardamento e siluranti.
    Fu quindi attraverso molte e apparentemente insuperabili difficoltà che il capitano Carlo Faggioni, pur potendo vantare una carriera militare a dire poco brillante (nel corso della guerra, l'ufficiale aveva conseguito nel Mediterraneo significativi successi, colpendo e danneggiando la corazzata inglese Barham, affondando il grosso piroscafo Thermopylae e attaccando l'incrociatore Breconshire e la portaerei Argus, anch'essi appartenenti alla flotta di Sua Maestà), riuscì a guadagnarsi la stima e la fiducia dei tedeschi, portando a compimento il suo progetto. Va subito detto che il sogno di Faggioni, che, come si è detto, mirava alla ricostituzione nel Nord Italia della Specialità Aerosiluranti, venne sostenuto in maniera del tutto decisiva dallo stesso creatore della Aeronautica Repubblicana, il tenente colonnello Ernesto Botto e dal maresciallo Rodolfo Graziani, capo supremo delle forze armate della RSI. Grazie ai buoni uffici del colonnello Botto (che si recò in persona a Berlino per convincere il maresciallo Goering a dare il suo assenso al progetto) che già ai primi di novembre del '43 il primo Savoia Marchetti SM79 della RSI (uno dei pochi esemplari scampati alle battaglie dell'estate precedente) poté essere completamente revisionato e rimesso a disposizione dei piloti e degli specialisti nel frattempo cooptati da Faggioni. A dirigere la Specialità degli Aerosiluranti Repubblicani venne chiamato il tenente colonnello pilota Arduino Buri (che durante il conflitto era riuscito con il suo SM79 a silurare la corazzata britannica Nelson), mentre la gestione operativa del Gruppo venne affidata allo stesso Faggioni che volle intitolare la sua unità in memoria dell'ex compagno Buscaglia (pilota che Faggioni e i suoi compagni credevano caduto in combattimento nel corso di una missione al largo della costa algerina). Ottenuti dal Comando della Luftwaffe gli indispensabili permessi e superati, con molta volontà e immaginazione, numerosi problemi logistici ed organizzativi, Faggioni riunì i suoi uomini (piloti, specialisti, meccanici e avieri) e i suoi mezzi (appena una mezza dozzina di usurati SM79) sul campo di Firenze. Quindi, sistemati alla bene meglio uomini mezzi nelle locali strutture aeroportuali, iniziò a martellare il Comando dell'Aviazione Repubblicana con richieste di nuovi aerei, di pezzi di ricambio, motori di riserva, siluri, munizioni per le mitragliatrici di bordo e attrezzature di volo e di terra. Insomma, tutto quanto era indispensabile per riportare all'efficienza operativa un nuovo nucleo da combattimento. Nel giro di un paio di settimane, per interessamento personale del colonnello Botto, il reparto ricevette dalla SIAI di Vergiate un certo numero di SM79 nuovi di zecca ed altri ancora, di seconda mano, recuperati in Italia, in Germania e perfino in Danimarca.
    Va ricordato, a questo proposito, che all'indomani dell'8 settembre del '43, la Germania aveva requisito un grande numero di aerei italiani distribuendoli su numerosi aeroporti della Luftwaffe (diversi SM79 siluranti dell'ex Regia Aeronautica, vennero ripescati dai tecnici di Faggioni sugli aeroporti tedeschi di Shongan e Gotenhafen e presso la danese Flieger Torpedo Schule di Falster). Ai primi di novembre, il Gruppo di Faggioni si trasferì sulla pista di Varese-Venegono per iniziare il ciclo addestrativo, mentre nel contempo veniva creata una seconda base operativa a Merna (Gorizia).
    Il reparto venne suddiviso su tre Squadriglie comandate dal capitano Giuseppe Valerio, dal veterano tenente Irnerio Bertuzzi e dal capitano Carlo Chinca. Dopo due mesi di prove e di continui addestramenti al volo, diurno e notturno, e al lancio di simulacri di siluri, i nuovi equipaggi poterono considerarsi pronti per l'azione. Il 9 febbraio del 1944, alla presenza di alte autorità militari repubblicane e tedesche, gli equipaggi giurarono fedeltà alla RSI, rendendo onore alla bandiera del 36mo Stormo Aerosiluranti che era stata ereditata dal capitano Faggioni. E ai primi di marzo una Squadriglia venne dislocata in Friuli, mentre le altre due furono mantenute a Venegono.
    L'8 marzo, sette SM79 si spostarono, infine, sull'aeroporto S. Egidio di Perugia per iniziare un difficile ciclo di operazioni contro la flotta angloamericana alla fonda davanti ad Anzio e Nettuno. La notte del 10 marzo, in concomitanza con un bombardamento diversivo tedesco, due SM79 al comando di Faggioni e Bertuzzi (i due piloti che potevano vantare la maggiore esperienza) decollarono ed attaccarono con decisione la flotta alleata. Entrambe gli aerei colpirono con il siluro di bordo due unità da trasporto, una delle quali (quella attaccata da Bertuzzi) da 7.000 tonnellate di stazza.
    Galvanizzati dal quel primo successo, il 14 dello stesso mese, altri sette trimotori ripeterono l'azione contro unità nemiche al largo di Nettuno e di Napoli, e gli aerei dei piloti Faggioni, Valerio, Sponza, Bertuzzi, Teta, Amoroso e Balzarotti affondarono o danneggiarono gravemente un mercantile da 5.000 tonnellate, un'unità militare d'appoggio a mezzi da sbarco (la LST348) e due altri trasporti minori. Nel corso dell'azione, vennero abbattuti gli SM79 dei tenente Balzarotti e Teta: i primi caduti del Gruppo. Accusato il colpo, il Comando alleato volle dare un'immediata lezione agli impudenti piloti repubblicani, e il 18 marzo una grossa formazione di quadrimotori statunitensi mise a ferro e fuoco l'aeroporto di Merna, distruggendo hangar, depositi, magazzini ed incendiando diversi SM79.
    Ripresisi dalla batosta, gli uomini del Gruppo "Buscaglia" si trasferirono sul più sicuro campo di Lonate (Milano), e già all'inizio di aprile le squadriglie siluranti repubblicane furono nuovamente in grado di riprendere la lotta. Il 6 aprile, 13 SM79, undici dei quali appesantiti dai siluri, decollarono diretti verso il campo trampolino umbro di S. Egidio, ma giunti sulla sua verticale vennero attaccati da una grossa squadriglia di caccia pesanti statunitensi P-47 Thunderbolt che fecero scempio di molti velivoli italiani. Nel violentissimo scontro quattro aerei repubblicani caddero in fiamme ed altri due subirono gravissimi danni.
    L'SM79 del tenente Sponza, ripetutamente colpito e con un motore in fiamme, riuscì però ad abbattere con le sue mitragliatrici difensive un caccia americano, effettuando poi un atterraggio di emergenza sul campo di Peretola. La strage di S. Egidio tuttavia non riuscì a fiaccare lo spirito del Gruppo che, nel giro di pochi giorni riuscì a rimettere insieme agli unici cinque aerei rimasti indenni per tentare di proseguire le missioni nel Tirreno. La sera del 10 aprile, quattro SM79 partirono da Perugia (il quinto dovette rinunciare pochi minuti dopo il decollo per avarie ad un motore) ed attaccarono nuovamente, al largo di Nettuno, la flotta alleata.
    Gli aerei, al comando di Faggioni, Valerio, Sponza e Bertuzzi, riuscirono a colpire tre piroscafi, ma l'intera squadriglia venne annientata dalla violentissima reazione antiaerea. Faggioni cadde da valoroso assieme ai suoi e a Lonate poté rientrare soltanto l'aereo del tenente Bertuzzi. Toccò allora al capitano pilota Marino Marini raccogliere la pesante eredità lasciata dal capitano Faggioni. Marini, dimostrando grandi capacità organizzative e tenacia fuori dal comune, si diede subito da fare per raccogliere nuovamente uomini e mezzi, tra cui alcuni nuovi SM79 IIIS appena usciti dalle officine della SIAI (questa nuova versione dell'SM79S era dotata di motori e di armamento più potenti e di accorgimenti tecnici più moderni).
    Completato il nuovo, indispensabile ciclo di addestramento, ai primi di giugno del 1944 il Gruppo "Buscaglia" era già in grado di ributtarsi nella mischia, pur nella consapevolezza di dovere affrontare un nemico sempre più forte e numeroso. Per cercare di risollevare il morale della Aeronautica Repubblicana (ormai lasciata dai tedeschi praticamente sola a difendere il territorio dell'Italia Settentrionale),
    Marini elaborò un ardito piano per attaccare la flotta inglese all'ancora nella lontana rada di Gibilterra. Confidando nel fatto che l'Ammiragliato Britannico non reputava più il nemico capace di compiere una missione su un così lontano obiettivo (tra l'estate del '40 e l'estate del '42 gli speciali trimotori SM82B e i quadrimotori Piaggio P108 della Regia Aeronautica erano riusciti a bombardare la Rocca), Marini insistette con il Comando Tedesco, in un primo tempo molto scettico, circa l'opportunità di sferrare l'ultima, improvvisa ed inaspettata zampata contro il leone assopito nella sua stessa tana.
    Marini selezionò 10 equipaggi scelti e, dopo avere studiato nei minimi dettagli l'organizzazione della missione, decise, data la distanza dell'obiettivo, di spostare il Gruppo su un aeroporto trampolino della Francia meridionale. Non potendo disporre di basi in Sardegna (isola dalla quale, negli anni '40,'41 e '42, gli aerei italiani destinati ai bombardamenti su Gibilterra erano soliti decollare), Marini fece trasferire in gran segreto, con la collaborazione dei tedeschi, tutti i suoi aerosiluranti sulla base di Istres.
    La manovra venne effettuata il 2 giugno e si avvalse della preziosa collaborazione tecnica e logistica degli ufficiali della Luftwaffe Muller-Clem e Helfferich (quest'ultimo parteciperà alla missione contro la Rocca in qualità di ufficiale di collegamento). La sera del 4 giugno 1944, dieci SM79S del Gruppo "Buscaglia", decollarono in direzione di Gibilterra e alle ore 02.20 antimeridiane del giorno 5 si avventarono sulle ignare navi inglesi che affollavano la rada. L'attacco venne condotto in maniera impeccabile e a bassissima quota (70 metri). Il capitano Bertuzzi attaccò per primo, seguito da tutti gli altri. Dieci furono i siluri, sganciati a non più di 700 metri dai bersagli, e sei le fragorose esplosioni che squarciarono la notte.
    Centrato l'obiettivo, otto velivoli del Gruppo, inseguiti dai riflettori, dalla contraerea e dai caccia notturni inglesi, puntarono subito a nord lungo la rotta del ritorno, raggiungendo sani e salvi (anche se dopo molte ore di volo, e con i motori centrali spenti per risparmiare carburante) la base di Istres. Poche ore dopo si seppe che gli unici due velivoli mancanti all'appello erano stati costretti per carenza di benzina ad atterrare in territorio neutrale spagnolo. Rientrato a Lonate Pozzolo con i suoi uomini e i suoi aerei, il capitano Marino Marini venne accolto trionfalmente da una folta schiera di ufficiali italiani e tedeschi. Con la felice missione su Gibilterra del 5 giugno 1944 terminava così la gloriosa attività degli aerosiluranti repubblicani nel bacino mediterraneo occidentale.
    A partire dal mese di luglio, infatti, il Gruppo "Buscaglia" spostò la sua area operativa nel quadrante adriatico e, successivamente, in quello dell'Egeo e del Mediterraneo centrale. La prima azione in Adriatico venne compiuta il 6 luglio da cinque SM79S, ai comandi del capitano Bertuzzi, del sottotenente Bellucci, del sergente maggiore Canis, del tenente Neri, del sergente maggiore Sessa e del sergente maggiore Ferraris. Gli aerei, dopo essere decollati da Lonate, raggiunsero il campo trampolino di Treviso e di lì spiccarono il volo in direzione sud, verso il porto di Bari, gremito di navi inglesi. Nel corso dell'attacco, contrastato da un forte tiro antiaereo, gli SM79S del tenente Ruggeri, del sottotenente Bellucci e del capitano Bertuzzi riuscirono a centrare in pieno tre piroscafi nemici, mentre l'aereo del tenente Perina riuscì, fuori dalle acque portuali, ad intercettare e a colpire il cacciatorpediniere inglese Sickle che affondò in poche decine di minuti.
    L'unico aereo italiano ad essere danneggiato nel corso di questa brillante azione fu quello del tenente Del Prete, costretto ad ammarare sulla via del ritorno, a poca distanza dal litorale romagnolo. Sulla scorta dei buoni risultati conseguiti, il maggiore Marini (promosso a questo grado in seguito all'azione su Gibilterra) inaugurò, ancora una volta in collaborazione con il Comando Tedesco, un nuovo ciclo di operazioni nell'Egeo. A tale scopo, nel mese di luglio del '44, 12 velivoli del Gruppo (10 operativi e due di supporto tecnico) si spostarono sull'aeroporto greco di Eleusi, nei pressi di Atene. Suddivisi in due sezioni di cinque apparecchi ciascuno, gli SM79S iniziarono quasi subito la loro attività compiendo ricognizioni armate su una vasta zona compresa tra Cipro, Rodi, Creta e la costa egiziana e libica.
    Tale attività condusse ai risultati sperati e consentì al tenente Merani di affondare quasi subito un piroscafo da 4.000 tonnellate. Questo primo successo venne poi bissato dal tenente Morselli che, il 4 agosto al largo della costa cirenaica, silurò un cargo da 7.000 tonnellate. Dopo avere effettuato una lunga ricognizione armata nelle acque dell'isola di Malta, nel corso della quale non venne però individuato alcun piroscafo nemico, una sezione si spostò più ad oriente compiendo una missione nella zona di Cipro. Proprio nel corso di questa operazione, una pattuglia di caccia britannici decollati dall'aeroporto di Limassol intercettò l'SM79S del maresciallo Jasinki, abbattendolo, mentre altri due Savoia Marchetti, anch'essi colpiti, furono costretti ad effettuare ammaraggi di fortuna, non lontano dalla costa cretese.
    Gli equipaggi italiani vennero recuperati e portati in salvo da un paio di idrovolanti tedeschi. Terminato il lungo ciclo operativo "orientale", durato due mesi, Marini decise di fare rientrare in Italia tutti i suoi aerei. Disgraziatamente, durante il sorvolo dell'aeroporto di Belgrado, l'SM79S del tenente Morselli venne erroneamente scambiato per un apparecchio italiano "cobelligerante" (cioè appartenente all'Aviazione del Sud) e abbattuto dalla contraerea tedesca. Nell'incidente perì anche il capitano Helfferich. Nel mese di agosto, giunto a conoscenza della vera fine del maggiore Buscaglia (l'asso era scampato all'abbattimento al largo delle coste africane ed in seguito aveva deciso di aderire all'Aeronautica del Sud, rimanendo poi vittima di un incidente a bordo di un aereo di fabbricazione americana durante un decollo dalla base alleata di campo Vesuviano), il maggiore Marini, pur venerando la figura dell'asso, decise di rinominare il suo Gruppo alla memoria del camerata Faggioni.
    Ma ormai la guerra aveva preso una piega definitivamente negativa per la piccola ma coraggiosa Aeronautica Repubblicana: una situazione che molto rapidamente costrinse i reparti della RSI ad un'operatività sempre più ridotta, anche a causa della ormai cronica penuria di carburante, di aerei e di pezzi di ricambio. Nonostante tutto, alla vigilia del natale 1944, quattro SM79 tentarono ancora un'azione offensiva nella zona di Ancona che portò all'affondamento di una nave da carico da 7.000 tonnellate. Dieci giorni più tardi, il 5 gennaio del 1945, l'SM79S del tenente Del Prete conseguì l'ultimo successo, in assoluto, degli aerosiluranti italiani nel corso dell'intero conflitto, affondando al largo delle coste adriatiche un piroscafo da 5.000 tonnellate.
    Terminava così l'epopea del Gruppo "Faggioni" ex-"Buscaglia" che, nel periodo compreso tra il marzo del '44 e l'inizio del '45, era riuscito a colare a picco 19 piroscafi e un cacciatorpediniere, per un totale di 115.000 tonnellate di naviglio, a fronte della perdita di 16 velivoli e il sacrificio estremo di 38 piloti e 185 specialisti.


    BIBLIOGRAFIA
    N. Beale, F. D'Amico, G. Valentini, Air war Italy 1944-45, Shrewsbury 1996, Airlife Publishing
    N. Arena, Battaglie nei cieli d'Italia 1943-45. Storia dell'aviazione della R.S.I., Bologna 1971, Intyrama
    a cura di E. Brotzu, G. Cosolo, Aerei italiani nella seconda guerra mondiale, vol. 3, 1976 Roma, Edizioni Bizzarri


    www.storiain.net

    Da notare che il comandante Bertuzzi sarà scelto dall'ex comandante partigiano Enrico Mattei (ministro dell'ENI dal dopoguerra) come pilota personale e comandante della flotta aerea dell'ENI.
     
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  9. Antonio Gatti
     
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    CITAZIONE (rubio @ 1/11/2006, 10:08)
    Benissimo e allora che aspetti a metterli in questo post?

    Raccontare la loro storia è al di sopra delle mie possibilità temporali, ci vorrebbero libri altro che post.
    Ovviamente va considerato che le guerre napoleoniche sono in assoluto le più difficili da comprendere insieme alle guerre civili romane del III secolo. Perchè? Semplice: perchè i comandanti hanno un'intelligenza notevolmente superiore alla media ed è difficile per l'uomo comune capire i perchè di persone così intelligenti. Naturalmente questo tipo di guerre è un'altra cosa rispetto alle più strombazzate guerre inglesi contro gli Zulu, o altre colonialate da terzo mondo. Si tratta di guerre durissime che durano decenni (le guerre della rivoluzione e dell'Impero inziano nel 1792 e finiscono nel 1815!) e in cui è in palio la sopravvivenza stessa di un'idea, a volte persino di una civiltà (guerre romane del III secolo) perciò i comandanti idioti tendono a sparire e ad essere rimpiazzati dai migliori uomini sulla piazza. La rivoluzione francese rischia di sparire e si affida a Napoleone. Dopo le grandi sconfitte di Austerlitz, Jena, Friedland gli alleati non possono più permettersi poveri generalucci come Mack, Kutuzov, Hohenlohe, Beaulieu, Wurmser e si affidano ai veri soldati con cervello.
    Effettivamente la rivoluzione francese comporta delle novità: prima novità sono i comandanti così troviamo in campo terribili, maleducatissimi, generali francesi Lannes, Massena, Napoleone etc. controaltari a dei poveri soggetti in parrucca bianca duchi di qua, baroni di la ma fisicamente e mentalmente deboli con crisi caratteriali distruttive (es. Wurmser a Castiglione). In pratica nell'esercito francese veniva premiato il merito negli altri eserciti no. Già questo di per se è l'unico fattore determinante delle vittorie che vanno dal 1796 al 1800.
    Dopo il 1800 l'esercito francese migliora moltissimo e sarà via via sempre superiore qualitativamente ai propri nemici a partire dal 1805, l'esercito francese del 1815 è probabilmente il migliore messo in campo. Accadrà però che a condurre gli eserciti alleati non ci saranno più inebetiti imparruccati-incipriati ma uomini tipo Bulow, Blucher, Schwartzenberg perfettamente all'altezza di affrontare i marescialli di Francia Macdonald, Ney, Marmont e quindi i francesi vengono sconfitti. Ovviamente.
    Idem per l'Impero Romano: la repubblica ci metteva anni a assoggettare poveri cristi come ispani, galli e altri poveracci senza la minima possibilità di vittoria; questo perchè il sistema militare repubblicano promuoveva per virtù di nascita e non di meriti. Ecco così che bastava un Giugurta, cioè il sovrano di una regione periferica nel mezzo del deserto africano, a umiliare i poveri nobilastri come Aulo Albino che li affrontavano. Poi è arrivata la grande stagioni delle guerre civili e delle guerre per la sopravvivenza dell'Impero, così Roma non si poteva più permettere poveri nobilotti scemi come Aulo Albino o Varrone, ma deve tirare fuori Caio MArio, Cesare, Augusto, Gallieno, Aureliano, Costantino. Più Roma si fa grande più le cariche vengono affidate a gente di merito al di là delle nascite. Settimio Severo è un ebreo africano di oscure origini, Costantino è figlio bastardo, Diocleziano proviene da una famiglia di schiavi, Aureliano è un soldataccio albanese, Massimino il Trace un ex-centurione mezzo sangue goto-alano. Questa gente assurge al trono grazie alle qualità non alle raccomandazioni in base ad assurdi diritti nobiliari.
    La vita in genere provvede a sbarazzarsi, nei periodi più difficili, degli idioti e si rivolge agli uomini: è normale.
    Quindi capirete che non posso racchiudere in poche righe questi uomini, ma se avete qualche argomento specifico da proporre sarò lieto di aprire un dibattito.






     
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  10. rubio
     
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    Eugenio Wolk

    Eugenio Wolk, Tenente di Vascello della Marina Militare Italiana nacque a Cernigov, in Ucraina, il 4 febbraio 1915 da una famiglia i cui antenati risalgono al XVI secolo. La madre Galitzin proveniva dalla più antica nobiltà russa. Nel 1917 la famiglia dovette fuggire dal paese in piena rivoluzione perdendo tutto il patrimonio, stabilendosi prima a Costantinopoli , poi a Taranto ed infine nel 1919 a Roma.
    Nato per il mare, nuotatore possente, l'acqua per lui non aveva segreti. Dotato di eccezionali qualità fisiche , organizzative e di un indiscusso ascendente sugli uomini.
    Cittadino italiano dal 1927, il 6 Agosto del 1933 passa all'Accademia navale con ferma di sei anni per la nomina a guardiamarina. Fra i suoi compagni di corso vi sono: Licio Visintini e Antonio Marceglia ed i futuri ammiragli Casardi, Cassano, Angelozzi, Scialdone, Bruni, Bernini, Straulino ed altri.
    Dal luglio del 1936 al luglio 1938, partecipa alla guerra di Spagna. Il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra. Wolk partecipa alla battaglia di punta Stilo. Il 16 dicembre dello stesso anno viene destinato alla I^ Flottiglia MAS scuola per operatori gamma di Livorno diretta dal Comandante Angelo Belloni dove tutto " era talmente segreto che in tutta la Marina da guerra non non ne sapevamo nulla" , come scriverà in una memoria , la situazione che trova all'inizio è perlomeno grottesca:"Al mio arrivo trovai un simpatico signore anziano ed un gruppo di una quindicina di giovani individui al limite dell'esaltazione, che formavano una specie di fabbrica degli eroi". Dopo faticosissimi e ripetuti allenamenti su percorsi in fondali sino a 15 metri con l'autorespiratore ad ossigeno, venne mandato con il suo gruppo alla Spezia ad esercitarsi in quella specialità:.." c'era la nave San Marco, al Varignano, radiocomandata per i tiri, dove si effettuavano attacchi con i maiali e da noi a piedi: si usciva la notte nella baia di La Spezia, a coppie con le bussole, con lo scopo di arrivare alla rete parasiluri, passarvi sotto ed arrivare ad attaccare il San Marco. Abbiamo incominciato con una distanza di 1.500 metri, ma su un fondale fangoso che rendeva difficile la marcia; per quanto ci fosse una tecnica che faceva avanzare solo spingendo con i piedi , prendevamo regolarmente l'iperossiemia (intossicazione da ossigeno)
    ... La distanza si è dovuta sempre più accorciare , e la massima che siamo riusciti a percorrere è stata di 400 metri dalla rete.
    Wolk, a seguito dei disastrosi risultati della marcia sul fondo, espone l'idea dell'uomo rana così come verrà subito messa in pratica quanto nella tattica quanto nell'equipaggiamento.
    Nei primi mesi del 1942, Wolk mette in pratica la prima azione dimostrativa con il sistema "Gamma" nel porto di Livorno. Arriva alla carena della nave designata quale obiettivo e nessuno lo vede sinchè non esce dall'acqua. Questo entusiasma gli ufficiali presenti e i comandi superiori. Sul finire dello stesso anno va a Milano assieme al Tenente di Vascello Eugenio Massano per attuare l'idea di adottare i sommergibili Ca come mezzi d'assalto. L'dea era questa: ... trasportare il piccolo sommergibile in groppa ad un sommergibile normale fin davanti al porto nemico da attaccare. ... entrare nel porto di notte, adagiarsi sul fondo per tutta la giornata, riposare e poi iniziare l'operazione la notte successiva.
    Entrato nel porto il Ca attuava la sua tattica d'attacco posizionandosi sotto il bersaglio, "dava aria " aderendo alla carena della nave bersaglio, a questo punto usciva l'operatore gamma, staccava una carica (il Ca ne trasportava 8) e la applicava al soprastante bersaglio. L'operazione si ripeteva per il numero delle cariche trasportate. La Xa Flottiglia MAS, progettava di portare la guerra subacquea, sia pure con effetti in gran parte psicologici, fin sulle coste degli Stati Uniti d'America.
    Non pochi furono i problemi che si presentarono: il primo fu il trasporto , il secondo la navigazione alla cieca all'interno del porto. Oltre a questi problemi il Ca doveva essere adattato al nuovo compito. Per i lavori di modifica, due minisommergibili furono trasportati ad Iseo dove vi era una dèpendancè della Caproni di Milano (ditta costruttrice non solo di aerei ma anche dei sommergibili Cc da 100 tonnellate e dei Cb famosi per i loro successi in Mar Nero.
    L'8 settembre 1943 bloccò come naturale, ogni possibile sviluppo dell'idea sull'utilizzo del Ca contro i porti Atlantici. Il 13 settembre Wolk incontra a Livorno il C.te Borghese , gli comunica la sua intenzione di ricostituire i "Gamma" nella R.S.I. Quattro sono le direttive sulle quali Wolk imposta la sua attività: mantenere ad ogni costo in vita lo spirito e la mentalità del subacqueo; impedire ad ogni costo che la specialità "gamma " vada perduta; progredire in campo tecnico; proseguire su una linea d'onore fino in fondo la guerra contro il nemico.
    Nel giugno del 1945, dopo una conversazione con il Comandante Forza nella quale si rese conto di quanto sarebbe stato inutile mettere in atto il progetto di sabotaggi ai danni del naviglio nemico nei porti di Venezia, La Spezia e Genova incontra il C.te Lionel K.P. Crabb, della Royal Navy. Inizia a questo punto , una collaborazione tra loro che durerà un anno e mezzo in un settore particolarmente delicato; lo sminamento ed il recupero di naviglio affondato dai tedeschi prima della ritirata.
    Le condizioni riservate dagli inglesi al gruppo "Gamma" erano abbastanza vantaggiose dal punto di vista della libertà personale, basate sulla posizione di :"libero sulla parola". Per due anni Wolk lavora allo sminamento, che era anche la sua unica forma di guadagno. Con 'andare del tempo emergono in maniera sempre più marcata delle difficoltà dovute sia alle proibitive condizioni atmosferiche che dalla evidente diminuita mole di lavori subacquei. Il 1 Febbraio del 1947 per Wolk si chiude la parentesi veneziana e, non avendo potuto rientrare in servizio in marina per via della sua militanza nella R.S.I., a Wolk non rimaneva che prendere in considerazione l'alternativa "emigrare".
    Il 17 Settembre del 1947 Wolk si imbarcò con al suo seguito tutta la famiglia, sulla motonave Ugolino Vivaldi diretta in Argentina per istituire una Scuola di Palombari-Sommozzatori" . Il gradimento argentino alla sua opera arrivò presto e con esso gli innumerevoli riconoscimenti.
    In Argentina Wolk trascorre 14 anni, gran parte dei quali li impiega a creare la Marina da guerra subacquea di quel paese. In diverse occasioni i risultati conseguiti dagli "hombres ranas" addestrati da Wolk, diedero esiti straordinari nelle manovre della marina durante i suoi attacchi alla basi navali di Porto Belgrano, Mar del Plata e Rio Santiago.
    Wolk rientra in Italia nel 1961 e si stabilisce nel Canton Ticino, Svizzera.
    Eugenio Wolk è deceduto a Magliaso (Lugano) il 17 giugno 1995. Di lui Luigi Ferraro un'altro grande della Decima, ebbe a dire: i combattenti della Decima sono tutti degli eroi; tutti degni della più alta onorificenza. Ma Wolk non correva dietro alle medaglie, consapevole del lavoro duro che faceva con alto senso del dovere e assoluta abnegazione.
    Quanto esposto è stato redatto basandosi prevalentemente su materiale gentilmente fornito dalla famiglia Wolk e con fotografie tratte dall'archivio di C.A. Panzarasa

    http://www.anaim.it/wolk.htm
     
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    Questo thread pencola solo da una parte, va controbilanciato :D ! Ma contando che tra non molto ci si trasferirà e questo finirà in modalità di sola lettura, rimando al nuovo forum qualche biografia di 'eroe dimenticato', come li chiama Rubio, più vicino ai miei ideali.
     
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    Frederik Willem de Klerk

    Frederik Willem de KlerkFrederik Willem De Klerk (Johannesburg 18 marzo 1936), meglio conosciuto come F.W.De Klerk, è un uomo politico sudafricano. Egli è stato l'ultimo presidente bianco del Sudafrica dell'apartheid dal settembre 1989 al maggio 1994 ed inoltre è stato leader del NP (National Party, divenuto poi New National Party) dal febbraio 1989 al settembre 1997.

    De Klerk è meglio conosciuto per aver consentito la fine dell'apartheid, la politica di segregazione sudafricana, e per aver sostenuto la trasformazione del suo paese in una democrazia, avviando negoziati che si conclusero con la concessione del diritto di voto e di altri diritti fondamentali per tutti i cittadini del suo paese, inclusa la maggioranza nera. Durante la sua presidenza giocò un ruolo fondamentale nell'iniziare e guidare il processo di trasformazione che ha aiutato a risolvere centinaia di anni di conflitti fra le varie comunità razziali del paese ed a gettare le fondamenta per una pace definitiva fra queste comunità.

    Per questi motivi gli fu assegnato, nel 1993, il Premio Nobel per la Pace insieme all'altro grande protagonista dei negoziati, vale a dire Nelson Mandela. Dopo questi avvenimenti De Klerk è stato vicepresidente del Sudafrica, durante la presidenza di Nelson Mandela, dal 1994 al 1996, ritirandosi dalla politica l'anno seguente.

    Anni giovanili ed ascesa politica
    Nato a Johannesburg il 18 marzo 1936 da una famiglia insediata nel paese da quasi tre secoli e appartenente alla Chiesa Riformata olandese,egli è figlio di Jan De Klerk (1903-1979), ex direttore scolastico ma soprattutto presidente del Senato e più volte ministro, ed inoltre nipote di Johannes Gerhardus Strijdom (1893-1958), primo ministro dal 1954 al 1958.

    Cresciuto a Johannesburg, la capitale economica del paese, frequentò in seguito le scuole superiori alla Monument High School di Krugersdorp. Si iscrisse poi alla Potchefstroom University for Christian Higher Education dove si laureò nel 1958 con i gradi di B.A. (Bachelor of Arts) e di LL.B. (Bachelor of Laws), quest'ultimo cum laude. Durante gli anni universitari partecipò attivamente alle iniziative studentesche e si unì alle organizzazioni vicino al National Party come il Broederbond.

    Dopo la laurea De Klerk si unì ad uno studio di procuratori a Vereeniging, studio che divenne ben presto uno dei principali del Sudafrica. Nel 1969 sposò Marika Willemse, dalla quale ha avuto due figli e una figlia. Nel 1972 gli fu offerta la cattedra di diritto costituzionale all'università di Potchefstroom ma egli rifiutò per entrare nella politica attiva: infatti nel novembre dello stesso anno abbandonò la professione di avvocato e venne eletto nelle file del NP in Parlamento come rappresentante del collegio di Vereeniging.

    Nel 1978, dopo essere stato per cinque anni e mezzo un parlamentare senza incarico, fu nominato membro del Governo, incarico che non lasciò mai più nei successivi 11 anni durante i quali fu responsabile dei seguenti dicasteri:

    Poste,Telecomunicazioni,Welfare e Pensioni.
    Sport e Spettacolo.
    Ambiente e Attività Minerarie.
    Energia e Miniere
    Interno
    Pubblica Istruzione (dal 1984 al 1989).

    Intanto nel 1982 diventa leader del National Party per la provincia del Transvaal; nel luglio del 1985 divenne portavoce del Consiglio dei Ministri alla House of Assembly e nel dicembre del 1986 ebbe l'incarico di Presidente di quest'ultimo ramo del Parlamento.

    Dopo una carriera politica spesa con la reputazione di conservatore, nel 1989 si mise a capo delle forze illuminate (verligte) del partito di governo e questo lo portò ad essere eletto, il 2 febbraio 1989, leader del National Party, succedendo a Pieter Willem Botha, che manteneva la carica di Presidente dello Stato. Sostenuto dalla maggioranza del partito e del Governo, egli entrò in crisi aperta col presidente Botha il quale fu costretto a dimettersi il 14 agosto 1989. Il giorno seguente De Klerk assunse la carica di Presidente dello Stato ad interim e organizzò le elezioni generali per il 6 settembre.

    Il National Party affrontò queste elezioni con un programma riformista e per questo fu seriamente attaccato da destra dal Conservative Party di Andries Treurnicht. Fu questo il motivo per il quale l'NP non ottenne la maggioranza assoluta ma quella relativa e per formare il governo fu costretto ad allearsi con il Democratic Party. In seguito alle elezioni De Klerk assunse ufficialmente la carica di Presidente dello Stato il 20 settembre 1989, carica che mantenne fino al 10 maggio 1994: durante questi anni egli iniziò e guidò i negoziati che portarono in modo pacifico alla caduta del regime dell'apartheid e all'adozione, nel dicembre 1993, della prima costituzione pienamente democratica della storia sudafricana.


    Fine dell'apartheid

    DE Klerk comprendeva benissimo che l'apartheid non poteva più sopravvivere e che urgevano concessioni dirette, al massimo, alla divisione dei poteri con la maggioranza nera. Egli giunse a tali conclusioni per i seguenti motivi:

    il crescente intensificarsi delle agitazioni popolari nel paese e la consapevolezza che esse non potevano essere affrontate ancora una volta con la repressione poliziesca ma attraverso un netto cambiamento politico.
    le sempre maggiori sanzioni internazionali comminate dall'ONU che stavano soffocando l'economia sudafricana.
    un crescente numero di sudafricani bianchi era sempre più deluso dalla politica di apartheid.
    il crollo del comunismo nell'Europa Orientale faceva venir meno il pericolo rosso (rooi gevaar).
    Il 28 agosto 1989, quando era ancora presidente ad interim, si recò nello Zambia per discutere con il presidente Kenneth Kaunda poiché il suo paese ospitava lo stato maggiore e molti campi di addestramento dell'ANC (African National Congress). In tale occasione incontrò segretamente non solo i rappresentanti dell'ANC ma ebbe un incontro anche con dei diplomatici sovietici.

    Dopo numerosi negoziati segreti e dopo l'intervento dei paesi confinanti il Sudafrica, detti della "linea del fronte", il 2 febbraio 1990, nel suo discorso di apertura del Parlamento, De Klerk annunciò la legalizzazione dell'ANC, del PAC (PanAfrican Congress) e del SACP (South African Communist Party), ordinò il rilascio di molti prigionieri politici, ridusse i termini del fermo di emergenza a sei mesi e annunciò la sospensione delle sentenze di morte. Questo annuncio e le azioni che ne seguirono prepararono il terreno per i negoziati che condurranno alla fine dell'apartheid e del governo del National Party.

    Il 10 febbraio il presidente annunciò la liberazione del leader storico dell'ANC, Nelson Mandela, dopo 26 anni di detenzione.

    Nel maggio successivo iniziarono i colloqui fra il governo e l'ANC ai quali seguirono, nel mese di giugno, l'abolizione dello stato di emergenza e il cessate il fuoco da parte dell'ANC. Nel 1991 le leggi che relegavano la popolazione non bianca in determinate aree del paese fu abolita, come fu abolita la classificazione del popolo sudafricano in razze. Grazie a questi provvedimenti il Sudafrica muoveva i suoi primi passi verso una piena e compiuta società multirazziale.

    Nel marzo 1992 De Klerk tenne un referendum dove i sudafricani (naturalmente bianchi, gli unici aventi diritto di voto) erano chiamati a pronunciarsi sulle riforme del presidente, sia quelle già passate sia le eventuali future: nonostante le pressioni dell'estrema destra l'elettorato dette ragione al presidente con il 68% di sì.

    Nel 1993 De Klerk fu insignito, insieme a Nelson Mandela, del Premio Nobel per la Pace per gli sforzi compiuti nello smantellare pacificamente l'apartheid e per aver gettato le fondamenta per un nuovo Sudafrica libero e democratico.

    Ma tale scopo fu raggiunto non senza ostacoli: le riforme portarono molti nostalgici dell'apartheid in seno al National Party ad unirsi al Conservative Party che si opponeva a molte di tali riforme. Inoltre questa nuova situazione portò da un lato alla ripresa dell'opposizione dell’estrema destra boera incarnata dall'organizzazione detta AWB (Afrikaner Weerstandsbeweging, Fronte di Resistenza Afrikaner) diretta da Eugène Terre'Blanche, e dall'altro portò ad un intensificarsi degli scontri fra l' ANC e il Partito Inkata per la Libertà di Gatsha Mangosothu Butelezi, alimentati da fonti che rivelavano che il governo forniva aiuti economici e militari a quest'ultimo partito.

    Nonostante tutto i negoziati portarono, nel dicembre 1993, al varo di una costituzione provvisoria ed, il 27 aprile 1994, alle prime elezioni multirazziali della storia del Sudafrica. De Klerk condusse una campagna elettorale formale e senza speranza contro Nelson Mandela: com'era prevedibile l'ANC uscì trionfante dalle urne e Mandela divenne il primo presidente non bianco del paese.

    Il National Party riuscì a salvare il salvabile, ottenedo il secondo posto con il 20% dei suffragi a livello nazionale, corredati dalla maggioranza dei voti e la direzione della nuova provincia del Capo Occidentale. Alla luce dei risultati elettorali De Klerk occupò uno dei due posti di vicepresidenza previsti dalla costituzione del 1993 (l'altro fu occupato da Thabo Mbeki), carica che mantenne fino al giugno del 1996 quando ritirò il suo partito dal governo di unità nazionale con l'ANC. Da questa data fino al 9 settembre 1997, giorno in cui De Klerk annunciò il suo ritiro dalla vita politica, egli guidò l'opposizione al governo di Mandela.

    Sebbene siano stati espressi dei dubbi sui motivi che guidarono il presidente nella sua decisione di abbattere l'apartheid, cioè se questi motivi erano la convinzione che questo regime era veramente sbagliato o se i motivi che portarono a questa svolta politica furono più che altro le sempre più incessanti pressioni internazionali ed interne, De Klerk ha sempre risposto che lo hanno guidato le sue convinzioni personali: cioè la convinzione che con la fine della segregazione razziale egli avrebbe portato giustizia a tutti, cioè la convinzione che egli non avrebbe mai potuto fare l'interesse del suo popolo (i bianchi) se questo interesse si basava sul commettere ingiustizia sull'altro e ben più numeroso popolo (i non bianchi) che condivideva con lui il suo lo stesso paese.

    Ultimi anni
    Nel 1998 destò scalpore fra l'opinione pubblica più conservatrice del paese l'annuncio dell'improvviso divorzio dell'ex-presidente con sua moglie Marika, dopo 38 anni di matrimonio, e del suo repentino matrimonio con Elita Georgiades.

    Nal 1999 egli ha pubblicato una sua autobiografia intitolata "The Last Trek - A New Biginning" e l'anno seguente fonda la FW De Klerk Foundation.

    Nel 2001 il paese fu scioccato dalla notizia della morte violenta della sua ex moglie uccisa probabilmente da una giovane guardia giurata nel corso di una rapina: quest'episodio è divenuto un simbolo della crescita esponenziale della criminalità nel Sudafrica post-apartheid. Nel marzo 2004 l'ex presidente fonda la Global Leadership Foundation: essa vuole giocare in ruolo costruttivo nella promozione della pace, della democrazia e dello sviluppo. L'organizzazione, con sede a Londra, vuole aiutare i leader politici nazionali ad affrontare meglio le complesse sfide economiche e politiche del mondo contemporaneo fornendo consigli specialmente ma non esclusivamente ai paesi in via di sviluppo e ai mercati emergenti. Un numero sempre maggiore di ex leader e di esperti si è unita a De Klerk per questa iniziativa.

    Sempre nel 2004 egli ha annunciato l'abbandono del suo vecchio partito ribattezzato già da qualche anno New National Party (NNP) e che aveva subito una dèbacle storica alle elezioni del 1999, dichiarando di voler cercare una nuova collocazione politica dopo l'annuncio che il NNP sarebbe stato assorbito dall'ANC.

    Nel 2005 egli ha denunciato l'attivismo revisionista ed il tradimento delle promesse dell'ANC riguardo il rispetto delle minoranze. Secondo lui la procedura mirante a ribattezzare la città di Pretoria con il nome di Tshwane, senza consultarne in via preliminare i residenti, è un abuso della maggioranza nera, tanto più che gli abitanti di questa città sono in maggioranza bianca.

    Oggi De Klerk vive in una fattoria nelle campagne di Paarl,a circa 60 km da Città del Capo dove lui e la seconda moglie Elita ben presto produrranno vino dai propri vigneti. L'ex presidente trascorre il suo tempo libero dedicandosi alla lettura, alla vita all'aperto e alle partite a golf.

    E' membro onorario del club di Roma.E' anche Patrono Onorario della University Philosophical Society con sede al Trinity College di Dublino .

    Nel marzo 2006 in occasione dei suoi 70 anni,Nelson Mandela gli ha reso omaggio per avere evitato un bagno di sangue in Sudafrica per aver accettato il negoziato con la maggioranza nera e il principio di un paese multirazziale.

    Tre mesi dopo ha subito un intervento chirurgico per un tumore maligno al colon scoperto dopo un esame il 3 giugno.Le sue condizioni sono bruscamente peggiorate ed è quindi stato sottoposto ad un secondo intervento a causa di problemi respiratori.Il 13 giugno è stato annunciato che il presidente è stato sottoposto a tracheotomia.Al momento è in condizioni mediche stabili nell'unità di cura intensiva del Panorama Medi-Clinic,un ospedale privato di Città del Capo.


    Il cognome De Klerk
    Il cognome De Klerk deriva da Le Clerc (o Le Clercq, o De Clercq) ed esso è di chiara derivazione francese ugonotta, così come un gran numero di cognomi afrikaner che riflettono un gran numero di Ugonotti francesi che colonizzarono il Capo a partire dalla seconda metà del XVII secolo e che fuggivano le persecuzioni religiose che subivano in patria.

     
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    Per Par Condicio vi posto anche questa figura di eroe

    LA BANDA DEL GOBBO

    ROMA 31.8.1943 - 16.1.1945


    Con questa denominazione - che pero’ divenne d’uso comune soltanto nel dopoguerra - si indica quello che probabilmente fu, nei nove mesi dell’occupazione tedesca nella capitale, il piu’ attivo e determinato gruppo partigiano operante a Roma e provincia.

    Il nome deriva da Giuseppe Albano, meglio noto come “il gobbo del Quarticciolo” che fu sicuramente in quei mesi il partigiano piu’ ricercato da nazisti e fascisti .

    Nato il 5.6.1927 a Gerace Superiore (Reggio Calabria), a soli sedici anni inizio’ la sua lotta partigiana nelle giornate tra l’8 e il 10 settembre 1943 dove, prima a Porta S.Paolo e poi nella zona di Piazza Vittorio, insieme ad un gruppo di giovanissimi, quasi tutti di origine calabrese e tutti abitanti nelle borgate romane di Centocelle e Quarticciolo, impegno’ pesantemente i tedeschi che invadevano la citta’ di Roma.

    Giuseppe Albano era appunto “gobbo” e la sua malformazione fece si’ che, pur non identificandolo per nome e cognome, i nazisti lo riconoscessero con sicurezza in ogni azione partigiana cui partecipava al punto che in certo periodo, intorno all’aprile del 1944, il Comando tedesco arrivo’ ad ordinare l’arresto di tutti i “gobbi” di Roma.

    Va comunque detto che se Giuseppe Albano fu senz’altro il capo riconosciuto dei giovani guerriglieri di Centocelle e Quarticciolo e se sicuramente il suo eroismo in azione e l’odio che gli portavano nazisti e fascisti ne fece in quei mesi un personaggio carismatico, egli non fu mai il vero responsabile della banda.

    Questa figura fu invece assunta da Franco Napoli, nome di battaglia “Felice”, suo compaesano e vecchio militante socialista, gia’ negli anni trenta arrestato per un tentativo di attentato a Mussolini in Calabria.

    Fu infatti Franco “Felice” Napoli che negli ultimi giorni di Agosto del 1943, in una riunione clandestina in una scuola di Piazza Vittorio, diede vita alla banda partigiana che assunse infatti , anche nei documenti ufficiali dell’ANPI, il nome di “banda Napoli”.

    All’inizio il gruppo fu del tutto autonomo dai partiti antifascisti e fu di fatto l’unico gruppo organizzato che insieme a qualche centinaio di militari antifascisti e a qualche decina di “volontari” civili, impegno’ appunto per tre giorni i tedeschi che invadevano Roma.

    In una foto famosissima, che tra l’altro fara’ da copertina ad uno dei primi libri che analizzo’ la resistenza romana (“Il sole e’ sorto a Roma” di Giorgio Amendola) si vede il “gobbetto”, in pantaloncini corti e col gembiule di garzone di farmacia, mestiere che svolgeva, combattere riparato dietro un carro armato a Porta S.Paolo.

    Durante quelle giornate Franco Napoli fu arrestato e condannato a morte, ma riusci’ ad evadere il 13 Settembre 43, insieme ad altri partigiani, da Villa Wolkonsky, allora sede del comando tedesco.

    Successivamente alla compiuta invasione di Roma, buona parte del gruppo si trasferi’ nella zona dei Castelli, fondendosi con un’altra banda partigiana operante in quella zona, banda formata quasi esclusivamente da membri della famiglia Ferracci, anch’essi vecchi militanti socialisti. Il trasferimento avvenne dopo che Franco Napoli e Giuseppe Albano avevano giustiziato, in Piazza dei Mirti a Centocelle, un ufficiale tedesco.

    Una parte dei partigiani del gruppo fu catturata dai tedeschi nel dicembre 43 nella zona di Lanuvio e rinchiusi a Villa Dusmet, comando tedesco di Frascati.

    Una altro scontro tra la banda e i tedeschi avvenne il 26.12.43 e fu chiamato “la battaglia di S.Cesareo”, vi mori’ un compagno di Zagarolo, CLAUDIO SCACCO, e furono catturati 13 partigiani, rinchiusi, sempre a Frascati, in Villa Torlonia, sede messa a disposizione dei nazisti dal “fascistissimo” duca Alessandro Torlonia.

    Il 1 Gennaio 1944 la banda attacca Villa Torlonia e libera tutti i prigionieri.

    Il 13 Gennaio i nazisti per rappresaglia uccidono i partigiani arrestati a Lanuvio.

    I morti furono :

    MARZIO D’ALESSIO, GIANBATTISTA DI MARCO, LUIGI LINARI, CESARE E ANGELO TROMBETTA (padre e figlio), ANGELO VARESI, ALBERICO VENANZI ed ELIO ZIMEI.

    I partigiani rispondono giustiziando il Segretario del Fascio di Lanuvio.

    Per questa azione molti di loro saranno poi arrestati nel dopoguerra e subiranno una lunga persecuzione giudiziaria che finira’ solo negli anni sessanta.

    Mentre Napoli, “il gobbo” e altri erano impegnati nella zona dei Castelli, la frazione della banda che operava nella zona romana di Monte Mario, congiuntamente ai partigiani del gruppo trotzkista “Bandiera Rossa”, assalta il 30 Novembre Forte Bravetta e libera alcuni militanti dello stesso gruppo trotzkista che stavano per essere fucilati dai fascisti della PAI (Polizia Africa Italiana ) . Il gruppo di “Bandiera Rossa” era diretto dal mitico Vincenzo Guarnera, nome di battaglia “Tommaso Moro”, un ex fascista fervente divenuto poi uno dei piu’ valorosi partigiani romani, quello della Banda Napoli da Fernando De Angelis, recentemente scomparso.

    Anche Napoli, Albano e gli altri rientrano a Roma, lasciando il presidio del territorio dei Castelli al gruppo dei Ferracci.

    A Roma , dopo un fallito tentativo di alleanza col Partito Comunista, che non vede troppo bene questo gruppo di partigiani eroici ma troppo “autonomi” e spesso provenienti dalla “mala” di borgata - il P.C.I. aveva smanie legalitarie gia’ durante l’occupazione nazista - Franco Napoli aggrega la banda all’organizzazione militare del P.S.I. , agli ordini di due futuri presidenti della repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat.

    Sandro Pertini e Franco Napoli avevano organizzato, per il 24 Marzo 1944, un’assalto al carcere tedesco di Via Tasso, dove i prigionieri politici venivano sistematicamente torturati e spesso uccisi dai nazisti. Contemporaneamente i partigiani dei GAP del P.C.I. dovevano svolgere l'azione contro i tedeschi in Via Rasella.

    L’azione di Via Rasella venne invece fatta, per motivi contingenti, il giorno precedente senza che i partigiani socialisti potessero esserne preventivamente informati.

    I rastrellamenti e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine che ne seguirono impedirono l’azione di Via Tasso il giorno successivo.

    Nei rastrellamenti fu arrestato anche Franco Napoli che, per una questione di pura casualita’, non fu anche lui inserito tra i giustiziati delle Ardeatine. In Via Tasso fu torturato lui ed in sua presenza fu torturata anche l’anziana madre.

    Alle Ardeatine morirono comunque otto membri della banda Napoli, precedentemente catturati.

    Erano : LEONARDO BUTTICE’, CARLO CAMISOTTI, GIUSEPPE CELANI, PAOLO FRASCA’, RAUL PESACH e FRANZ SCHIRA ( due disertori tedeschi unitisi ai partigiani), DOMENICO RICCI, FILIPPO ROCCHI

    Dopo lo smarrimento causato dalla rappresaglia tedesca, che colpira’ in modo particolare i partigiani di “Bandiera Rossa ( un centinaio di fucilati sui totali 335 martiri delle Ardeatine), soltanto la Banda Napoli rimarra’ in piedi come gruppo organizzato su base cittadina, con cellule a Centocelle-Quarticciolo, Quadraro, Ponte Milvio, Salario, Trastevere, Tufello, Pietralata, Garbatella e Tuscolano, mentre il gruppo di Monte Mario, pur mantenendo i contatti con la banda, passera’ quasi in blocco nelle file di “Bandiera Rossa”.

    L’arresto di Pertini e Saragat - che poi fuggiranno rocambolescamente da Regina Coeli - e quello dello stesso Franco Napoli faranno pero’ perdere alla banda i contatti con l’organizzazione militare del P.S.I.

    E’ nel periodo Gennaio - Aprile del 1944 che nasce il mito “del gobbo”.

    Per due mesi infatti, grazie alle azioni dei giovani guerriglieri della zona guidati da Giuseppe Albano - spesso in alleanza con quelli di “Bandiera Rossa”, di “Armata Rossa” ( comunisti libertari) e dello stesso P.C.I. ( nella zona si erano rifugiati due partigiani di Via Rasella, Sasa’ Bentivegna e Carla Capponi ) - tedeschi e fascisti rinunciarono ad entrare a Centocelle e al Quarticciolo.

    In piu’ resero impraticabili di notte le vie Casilina e Prenestina ai mezzi tedeschi che dovevano rifornire il fronte di Anzio.

    Si narra che “il gobbo” da solo abbia in quel periodo giustiziato una cinquantina tra nazi e fasci, in alcuni casi armato solo di coltello.

    Sicuramente fu la sua banda la prima a reagire alla rappresaglia delle Ardeatine.

    Il 10 Aprile 44, infatti, a pochi giorni dalla strage, giustiziarono tre tedeschi nel quartiere Quadraro. L’azione fu condotta dai compagni :

    GIUSEPPE ALBANO ( il gobbo ), VINCENZO SPAZIANI, ENRICO ROCCHI, MARIO DEL PAPA, VITTORIO PETTINELLI, FRANCESCO D’AGOSTINO, GUIDO DI GIOVANBATTISTA E ROCCO BASILOTTA.

    La composizione sociale del commando e’ estremamente interessante . se si esclude Basilotta, piccolo imprenditore di simpatie socialiste, tutti gli altri sono giovani sottoproletari - allora si diceva “ladroni” - del Quarticciolo, molti con precedenti penali per cosiddetti reati “comuni”.

    Per tutta risposta, i nazi rastrellarono 700 uomini del quartiere e li deportarono in Germania, ove ne morirono circa la meta’.

    Il 17 Aprile anche Albano sara’ arrestato, probabilmente in seguito ad una spiata, mentre si rifugiava, insieme ad un folto gruppo di compagni di “Bandiera Rossa” nell’azienda di Basilotta.

    Il fatto di essere stato sorpreso insieme a compagni di un gruppo diverso dal suo e lo stesso ridicolo ordine tedesco di arrestare tutti i gobbi di Roma - Via Tasso e Regina Coeli erano pieni di poveracci con le spalle curve - fece si’ che Albano non fosse riconosciuto come il famoso partigiano e non fosse quindi eseguita la condanna a morte che era stata promulgata nei suoi confronti.

    Questo non impedi’ pero’ che in Via Tasso fosse ferocemente torturato.

    Il 4 Giugno, con gli americani alle porte di Roma e i tedeschi in fuga, la popolazione assalto’ Via Tasso e libero’ i detenuti, tra cui il “gobbo”. Anche Napoli sara’ liberato dalla folla che invase Regina Coeli e partira’ quasi subito per il Nord dove continuava la guerra e dove ebbe un ruolo nella cattura di Mussolini.

    Nella Roma liberata, Giuseppe Albano e i suoi parteciperanno alla cattura di molti fascisti, per alcuni giorni addirittura in collaborazione con i poliziotti della Questura, divenuti per incanto tutti “antifascisti”.

    Ma, come altri partigiani, fu ben presto deluso dalla non volonta’ del nuovo governo di “epurare” i fascisti ed anzi di cominciare a perseguitare i compagni ( anche Sasa’ Bentivegna verra’ arrestato dopo uno scontro a fuoco in cui mori’ un fascista).

    Si dedichera’ quindi ad azioni di “esproprio” contro gli arricchiti della “borsa nera”, distribuendo vettovaglie e generi di prima necessita’ alla popolazione affamata.

    In una di queste azioni rimarra’ fortuitamente ucciso un militare inglese.

    Questo tipo di attivita’ “illegale” non gli impedisce pero’ di riprendere i contatti col Partito Socialista.

    E fu quindi per ordine di Pietro Nenni ( Franco Napoli sostiene anche di Palmiro Togliatti) che Albano si infiltrera’ nel gruppo “Unione Proletaria”.

    Questo gruppo, con sede in Via Fornovo 12, nonostante il nome “di sinistra” e nonostante che fosse diretto da un ex appartenente di “Bandiera Rossa” - Umberto Salvarezza - in realta’ aveva aggregato molti ex fascisti allo scopo di svolgere, d’accordo con ambienti monarchici, opera di provocazione contro le forze di sinistra.

    Fu sicuramente grazie al “gobbo” se , nel novembre 1944, fu sventato un attentato dinamitardo dei provocatori dell ’Unione Proletaria contro un corteo di P.C.I. e P.S.I.

    L’ avere sventato l’attentato svelo’ probabilmente il ruolo di “infiltrato” di Giuseppe Albano.

    Il 16 Gennaio 1945 , mentre usciva dalla sede dell’Unione Proletaria in Via Fornovo, verra’ ucciso con un colpo di pistola alle spalle.

    La versione ufficiale e’ che mori’ in un conflitto a fuoco con i carabinieri che lo ricercavano per la morte del militare inglese.

    Una successiva “controinchiesta”, condotta da Franco Napoli, rientrato a Roma nel maggio 45,

    stabili’ con certezza che Albano fu ucciso a tradimento da tale Giorgio Arcadipane, gia’ spia dei tedeschi tra i detenuti di Regina Coeli, aggregatosi tra i provocatori dell’ Unione Proletaria.

    La provocazione fu ancora piu’ chiara due giorni dopo, quando centinaia di poliziotti e carabinieri circondarono il Quarticciolo, con la scusa di arrestare i complici del “gobbo”.

    Nei durissimi scontri che seguirono al rastrellamento rimase ucciso dai carabinieri ARDUINO FIORENZA, anziano militante del P.C.I. e vennero arrestati centinaia di proletari.

    ALLA FACCIA DEL NUOVO STATO DEMOCRATICO ! ! !

    Tra gli arrestati anche IOLANDA CICCOLA, fidanzata quindicenne di Giuseppe Albano che diverra’ poi, molti anni dopo, una apprezzata dirigente della nuova sinistra rivouzionaria ( il cosiddetto filo rosso ! ).

    Andra’ ancora peggio ai partigiani dei Castelli, quelli della banda Ferracci i quali per l’esecuzione del fascista di Lanuvio - considerato chissa’ perche’ “reato comune” dal nuovo stato repubblicano ed antifascista - furono incarcerati e coinvolti in una persecuzione giudiziaria che finira’ soltanto nel 1963.

    A nessuno comunque dei partigiani della banda Napoli e nemmeno ai deportati del Quadraro

    sara’ mai riconosciuta la pensione o altro riconoscimento dovuto per legge ai combattenti della Resistenza.

    BELLA RICONOSCENZA ! ! !



    Principali fonti :


    FRANCO “FELICE” NAPOLI : “VILLA WOLKONSKY” autoedizione del 1996

    MARISA MUSU - ENNIO POLITO : “ROMA RIBELLE” ed. TETI del 1999

    SILVERIO CORVISIERI : “IL RE, TOGLIATTI E IL GOBBO” ed. ODRADEK del 1997

    ROBERT KATZ : “MORTE A ROMA” Editori Riuniti del 1973



    LA BANDA DEL GOBBO - commento politico


    Sinceramente non credo che l’approccio strettamente repressivo che il nuovo stato democratico/borghese riservo’ ai compagni della “banda del gobbo” vada letto nella categoria di una generica ingraditudine.

    Come gia’ detto, nel dopoguerra la repressione antipartigiana fu un fenomeno enorme e colpi’ pesantemente anche i compagni del P.C.I. e persin di formazioni piu’ moderate come il Partito d’Azione.

    Ancora piu’ pesante fu il trattamento riservato ai combattenti dei “gruppi eretici” come Bandiera Rossa.

    Ma nei confronti degli “eretici”, con un misto di bastonate e di blandizie, il sistema gioco’ poi la carta della “cooptazione” ; infatti quasi tutti i militanti “eretici” finiranno per entrare nei partiti della sinistra tradizionale.

    La verita’ e’ che questi gruppi erano si’ fortemente ideologizzati e combattivi, ma erano pur sempre sotto la direzione di un ceto politico intellettuale od artigiano che pure ben aveva saputo radicarsi nel proletariato delle borgate romane.

    Il gobbo ed i suoi uomini, al di la’ delle vaghe idee socialiste e dei rapporti coi futuri presidenti della repubblica, erano invece essi stessi quel “proletariato”, ribelle e potenzialmente irriducibile ai giochetti della democrazia borghese che tutti gli altri finiranno poi piu’ o meno per accettare.

    Per questo dovevano essere repressi ed annientati, anche nella memoria.


    DARIO MARIANI

     
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    Friedrich Paulus

    Friedrich Wilhelm Ernst Paulus (Breitenau, 23 settembre 1890 - Dresda, 1 febbraio 1957) fu un generale tedesco, in seguito promosso Feldmaresciallo durante la Seconda guerra mondiale.

    Paulus era figlio di un contabile. Cercò senza riuscirvi si diventare cadetto della Marina Imperiale Tedesca, è per breve tempo studiò legge all'Università di Marburgo. Decise quindi di lasciare l'università e si arruolò nel 111° Reggimento di Fanteria, come ufficiale cadetto, nel 1910. Il 4 luglio 1912 si sposò con Elena Rosetti-Solescu.

    Allo scoppio della Prima guerra mondiale, il reggimento di Paulus prese parte all'invasione della Francia, entrò in azione nei Vosgi e attorno ad Arras, nell'autunno del 1914. Dopo una licenza per malattia, Paulus entra negli Jäger Alpenkorps come ufficiale di stato maggiore, prestando servizio in Macedonia, Francia e Serbia. Alla fine della guerra aveva raggiunto il grado di capitano.

    Paulus restò nella ridimensionata Reichswehr che venne costituita a seguito del Trattato di Versailles e venne assegnato al 13° Reggimento di fanteria di stanza a Stoccarda, come comandante della compagnia fucilieri. Prestò servizio con diversi incarichi nello Stato Maggiore per oltre un decennio (1921-1933), quindi comandò per breve tempo una brigata motorizzata (1934-1935) prima di essere nominato Capo di Stato Maggiore per il Comando Panzer nel 1935. Occupò tale posizione fino al 1939, quando venne promosso a Maggiore Generale e divenne Capo di Stato Maggiore della X Armata tedesca, con la quale prestò servizio in Polonia durante la Campagna di Polonia, Paesi Bassi e Belgio durante la Campagna di Francia (nelle ultime due campagne, l'armata era stata rinumerata come VI Armata). Venne nominato vicecapo dello Stato Maggiore Generale tedesco nel 1940, e con tale ruolo contribuì a delineare i piani per l'invasione dell'Unione Sovietica. Divenne comandante della VI Armata tedesca nel gennaio 1942 e guidando l'avanzata su Stalingrado.

    Andando contro alle sue valutazioni, seguì gli ordini di Hitler che prevedevano di tenere le posizioni a Stalingrado in qualsiasi circostanza, anche dopo che le sue forze vennero completamente circondate dal nemico. Un tentativo di soccorso da parte del Gruppo d'Armate del Don, sotto il comando del Feldmaresciallo von Manstein, fallì inevitabilmente, poiché a Paulus venne rifiutato il permesso di spezzare l'accerchiamento. La VI Armata venne sconfitta assieme ai suoi alleati rumeni e alle truppe ausiliarie russe, dall'Armata Rossa del generale Georgij Zhukov nel gennaio 1943. La battaglia fu combattuta con terribili perdite da ambo le parti e tra indicibili sofferenze, segnando i rapporti tra le due nazioni per molti anni a venire.

    L'incapacità o la mancata volontà di Paulus di salvare i suoi uomini, prendendo una decisione contraria al volere di Hitler e districando l'armata da una posizione indifendibile, lo pone sotto una luce sfavorevole dal punto di vista storico. Comunque, egli rifiutò di suicidarsi come richiesto da Hitler. Ci si aspettava che Paulus tenesse Stalingrado fino alla morte. Hitler promosse Paulus al grado di feldmaresciallo, quando il destino della VI Armata era ormai segnato. Poiché nessun Feldmaresciallo tedesco nella storia si era mai arreso, l'implicazione era chiara.

    Nonostante ciò, egli fece una sorta di resa, poche ore dopo essere stato promosso, nel febbraio 1943. Mentre era prigioniero dei sovietici, divenne una voce critica del regime nazista, unendosi al Comitato nazionale per una Germania Libera sponsorizzato dall'URSS e appellandosi ai tedeschi perché si arrendessero. In seguito fu testimone dell'accusa al processo di Norimberga. Venne rilasciato nel 1953, due anni prima del rimpatrio dei restanti prigionieri di guerra tedeschi (in gran parte veterani di Stalingrado), che erano stati designati come "criminali di guerra" dai sovietici.

    Paulus rimane una figura storica controversa, a causa della sua tardiva conversione all'anti-nazismo, e per il suo carattere oltremodo remissivo nei confronti di Hitler. Viene frequentemente contrapposto a Erwin Rommel, che proveniva da un ambiente simile, con una famiglia senza tradizione militare, che era anch'esso visto molto di buon occhio da Hilter, ma la cui resistenza al capo lo portò ad essere costretto a porre fine alla sua vita col cianuro.

    Friedrich Paulus morì nella Germania Est, era diventato un ispettore di polizia.


    Precisazione sul nome
    Paulus è noto anche come von Paulus. Il von non è autentico, si tratta di un malinteso basato presumibilmente sul fatto che per molte "famiglie nobili" tedesche, la carriera di ufficiale nelle forze armate era tradizionalmente una scelta popolare per almeno uno dei figli. Molti ufficiali e generali portavano il "von" nei loro nomi. Paulus era figlio di un ufficiale inferiore, una delle ragioni per cui venne promosso da Hitler, che lo vedeva nella sua stessa luce; un genio di umili origini.



    Georgij Konstantinovič Žukov (russo: Гео́ргий Константи́нович Жу́ков) (1 dicembre 1896 (calendario gregoriano); 19 novembre 1896 (calendario giuliano) - 18 giugno 1974), generale e politico sovietico, è noto per aver condotto, durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Armata Rossa alla liberazione dell'Unione Sovietica dall'occupazione nazista, all'occupazione della maggior parte dell'Europa Orientale ed alla conquista della capitale tedesca, Berlino.

    Dopo la fine della guerra venne indagato dalla NKVD, la polizia segreta, probabilmente su ordine dello stesso Stalin. Visse quindi come semi-recluso e lontano dalla vita pubblica fino al 9 maggio 1965, tranne per un breve periodo come Ministro della Difesa sotto Krusciov. Per il ventesimo anniversario della resa tedesca, avvenuta il 9 Maggio 1945, in occasione delle celebrazioni ufficiali fu invitato ad un banchetto al Cremlino da Leonid Breznev. Dopo quest'avvenimento, pur essendo stato riabilitato ufficialmente, non ricomparve più in pubblico fino alla sua morte.

    Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Georgij_%C5%BDukov"

    Questo è quello che ho trovato

    Ljudmila Mikhailovna Pavličenko

    Ljudmila PavličenkoLjudmila Mikhailovna Pavličenko (ucraino: Людмила Михайлівна Павліченко, russo: Людмила Михайловна Павличенко; Bila Tserkva, RSS Ucraina, oggi Ucraina, 12 luglio 1916 – 10 ottobre 1974) fu una soldatessa dell'Unione Sovietica e un tiratore scelto.

    Pavličenko fu una studentessa brillante nei suoi primi anni. Quattordicenne, andò a vivere a Kiev, capitale della Repubblica Sovietica d'Ucraina, coi genitori. In quella città si abbonò a un'associazione di tiro a segno, e sviluppò notevolì capacità di tiro. In quel periodo lavorava come operaia addetta allo sminuzzamento dei minerali alle Industrie Arsenal di Kiev.

    Nel giugno del 1941, in un periodo in cui Pavličenko studiava storia alla Università di Kiev, la Germania Nazista mosse guerra all'Unione Sovietica (vedi anche Operazione Barbarossa), in seguito alla quale si arruolò quasi immediatamente. All'ufficio arruolamento, richiese di unirsi alla fanteria e di conseguenza fu assegnata alla 25° Divisione di Fanteria dell'Armata Rossa, e divenne una delle 2000 cecchine sovietiche, di cui solo 500 sopravvissero alla guerra (si deve specificare che nell'Armata Rossa le donnevenivano coscritte e in guerra mandate in prima linea come gli altri soldati; quindi, anche se non si fosse arruolata volontariamente, sarebbe stata comunque fatta combattere).

    Come tiratrice, uccise i primi due soldati nemici presso Beljajevka, usando un fucile Mosin-Nagant da cinque colpi (riadattato per il tiro di precisione con un'ottica a quattro ingrandimenti montata sulla canna), che sparava un proiettile di 9.6 g a 853 m/s, efficace entro un raggio di 550 m.

    Il soldato Pavličenko combatté circa 80 giorni presso Odessa, dove le si attribuirono 187 soldati nemici uccisi e le vennero conferiti svariati avanzamenti di grado. Quando i tedeschi presero controllo della città, la sua unità venne fatta ripiegare per affrontare il nemico a Sebastopoli, in Crimea. Secondo i rapporti del Voyensoviet (Stato Maggiore) del Fronte Meridionale sovietico nel maggio 1942, il tenente Pavličenko aveva eliminato 257 soldati tedeschi e dell'Asse, e alla fine del conflitto tale numero aumentò fino a 309 soldati nemici, tra cui 36 tiratori scelti.

    Si narra che la Pavličenko avesse trovato sul campo di battaglia il registro delle uccisioni di uno dei cecchini tedeschi che aveva freddato, e che il conto delle sue vittime fosse superiore a 500.

    Nel giugno 1942, fu ferita da un colpo di mortaio. Poiché ormai era un'eroina, le fu negato il permesso di continuare a combattere meno di un mese dopo la guarigione della ferita, e di conseguenza fu trasferita nelle retrovie. Fu inviata in Canada e negli Stati Uniti per una visita di propaganda, e divenne la prima cittadina Unione Sovietica ad essere ricevuta da un Presidente degli Stati Uniti d'America. Franklin D. Roosevelt e sua moglie le diedero il benvenuto alla Casa Bianca, e in seguito la Pavličenko fu invitata da Eleanor Roosevelt in un vero e proprio tour di conferenze in tutti gli Stati Uniti per raccontare la propria esperienza. Fece un'apparizione alla International Student Assembly a Washington, D.C., dove fu acclamata come un'eroina, e si recò a New York City per un ciclo di discorsi, interviste e conferenze. In Canada, le fu presentato un fucile Winchester con ottica di precisione, che oggi è esposto al Musei Centrale delle Forze Armate, a Mosca.

    Dopo la promozione al grado di Maggiore, la Pavličenko non tornò in combattimento, ma divenne istruttore di riconosciuta bravura, capace di addestrare centinaia di tiratori sovietici fino alla fine della guerra. Nel 1943, fu insignita della Stella d'Oro di Eroe dell'Unione Sovietica. Dopo la guerra, riuscì a laurearsi all'Università di Kiev e iniziò una carriera come storico. Dal 1945 al 1953, fu assistente ricercatore del Quartier Generale della Marina Sovietica, ruolo nel quale fu coinvolta all'interno di una lunga serie di conferenze e congressi. In seguito, fu membro attivo del Comitato Sovietico Veterani di Guerra.

    Ljudmila Pavličenko è oggi sepolta al cimitero Novodevichje di Mosca.

    da wikipedia.it

    Nina Aleksejevna Lobkovskaja

    Il tenente Nina Aleksejevna Lobkovskaja (russo: Нина Алексейевна Лобковская) fu un cecchino sovietico in
    forza all'Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale.

    La prima di cinque figli di una famiglia siberiana, Lobkovskaja crebbe in Tagikistan, dove la sua famiglia si spostò per motivi di salute del padre Aleksej. Dopo la morte del padre, arruolatosi nell'esercito e caduto in battaglia a Voronezh, Lobkovskaja si arruolò e divenne una delle 300 tiratrici scelte inviate a Veshnjaki per l'addestramento.

    Dal febbraio 1945 fino alla fine della guerra, ella comandò una compagnia di tiratrici che presero parte all'ultima spinta verso Berlino. Alla Lobkovskaya furono attribuite 309 perdite nemiche durante la guerra, lo stesso conteggio di Ljudmila Pavličenko.



    Vasily Grigorievič Zaitsev

    Vassili Zaitsev a Stalingrado, ottobre 1942Vasily Grigorievič Zaitsev (russo: Васи́лий Григо́рьевич За́йцев – Jelino, 23 marzo 1915 - Kiev, 15 dicembre 1991) era un tiratore scelto sovietico attivo durante la seconda guerra mondiale. Il suo primo campo di battaglia fu Stalingrado, dove tra il 10 novembre e il 17 dicembre 1942 uccise 225 tra soldati e ufficiali della Wehrmacht e altri eserciti dell'Asse, tra cui 11 cecchini nemici.

    Prima del 10 novembre aveva già ucciso 32 soldati dell'Asse con il fucile Mosin-Nagant d'ordinanza (triokhlinejka, fucile da tre linee, ovvero calibro 7,62). Si stima che i 28 cecchini da lui addestrati abbiano ucciso più di 3000 soldati nemici. Alcune fonti riportano che i risultati di Zaitsev furono notevoli, ma non gli unici di questa portata: un soldato sovietico la cui identità è rimasta ignota, identificato solo col soprannome di Zikan, aveva ucciso 224 soldati alla data del 20 novembre.

    Zaitsev era inquadrato nel 1047° reggimento fucilieri della 284° divisione di fanteria, parte della LXII Armata. Zaitsev restò sotto le armi fino al gennaio 1943, quando fu ferito agli occhi. Il professor Filatov fu in grado di ripristinare la vista di Zaitsev, che poté concludere la guerra sul fronte del Dniestr col rango di Capitano. Dopo la guerra, Zaitsev gestì una fabbrica a Kiev.

    Secondo alcune fonti sovietiche, i tedeschi, nel tentativo di ucciderlo, mandarono a Stalingrado il maggiore Heinz Thorvald, comandante della loro scuola militare per tiratori scelti. Si narra che Zaitsev, dopo una caccia durata diversi giorni, abbia intravisto il suo cacciatore sotto una lamina di ferro, e lo abbia ucciso. Lo scontro tra i due fu reso in forma di fiction nel film Il nemico alle porte.

    Il mirino telescopico del fucile di Thorvald, che si deduce sia stato il più importante dei trofei di caccia di Zaitsev, è attualmente esibito presso il Museo dell'Armata Rossa di Mosca. È bene tenere presente che, tuttavia, l'intera storia rimane a metà tra realtà e fantasia, non essendovi mai state conferme ufficiali. Il duello non trova infatti alcun riscontro nelle fonti ufficiali militari sovietiche, dove pure ogni azione compiuta da alcuni cecchini è riportata con dovizia di particolari.

    Zaitsev crebbe a Jelino, un paese sugli Urali dove imparò a sparare cacciando le renne. I tiratori che addestrò furono così trascinanti nella loro preparazione che di fatto segnarono l'inizio del "fenomeno dei cecchini" che diede tanto lustro alla LXII Armata sovietica. Si iniziò un ciclo di conferenze il cui scopo era la diffusione dell'esempio di Zaitsev nella "filosofia" dei tiratori scelti, e soprattutto per scambiare e discutere idee sui principi di una specialità che, per lui, non si limitava alle capacità di tiro. Zaitsev morì all'età di 76 anni a Kiev, in un'epoca di straordinari cambiamenti per il suo Paese.

    Quindici anni dopo, il 31 gennaio 2006, Vasily Zaitsev fu seppellito al Mamayev Kurgan con i più alti onori militari: il suo ultimo desiderio era di essere seppellito vicino al monumento dei difensori di Stalingrado. La sua bara è stata inumata nei pressi di un monumento che riporta la sua più famosa citazione: "Non c'è spazio per noi dietro il Volga."



    Erwin Rommel
    Da Wikipedia

    Erwin RommelErwin Johannes Eugen Rommel (Heidenheim, 15 novembre 1891 - 14 ottobre 1944, Herrlingen presso Ulm) fu un generale tedesco e comandante degli Afrika Korps durante la seconda guerra mondiale. È anche conosciuto per il suo soprannome: La volpe del deserto (Wüstenfuchs).

    Gioventù
    Rommel nacque a Heidenheim, a circa 50 km da Ulm, nello stato del Württemberg. Figlio di un insegnante protestante, Rommel voleva diventare ingegnere (magari per lavorare sugli zeppelin), ma invece si arruolò nel locale 124o Reggimento di Fanteria come ufficiale cadetto, nel 1910. Due anni dopo, venne nominato Tenente. Durante la prima guerra mondiale, Rommel prestò servizio in Francia, così come sul fronte rumeno e italiano, durante quel periodo venne ferito tre volte e premiato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Fu anche il più giovane militare a ricevere la più alta onoreficenza militare tedesca, la medaglia Pour le Mérite, che ricevette dopo aver combattuto sulle montagne dell'Italia nord orientale, precisamente nella Battaglia di Longarone. Ivi con un audace colpo di mano fece 9000 prigionieri e un bottino impressionante che gli valsero la suddetta medaglia.

    Nel 1911, come cadetto a Danzica, Rommel conobbe la sua futura moglie, Lucie, che sposò nel 1916. Nel 1928, ebbero un figlio, Manfred Rommel. Gli studiosi Bierman e Smith sostengono che Rommel ebbe anche una relazione con Walburga Stemmer, nel 1912, e che dalla storia nacque una figlia di nome Gertrud (The Battle of Alamein: Turning Point, World War II, p. 56).


    Dopo la prima guerra mondiale
    Nel primo dopoguerra fu comandante di reggimento ed istruttore alla Scuola di Fanterie di Dresda (1929-1933) e all'Accademia di Guerra di Potsdam (1935-1938). I suoi diari di guerra, Infanterie greift an (La fanteria attacca!), divenne uno dei principali libri di testo dopo essere stato pubblicato nel 1937. Nel 1938, Rommel (ora Colonnello) viene nominato comandante dell'Accademia di Guerra di Wiener Neustadt. Venne comunque rimosso dopo poco tempo, e posto al comando del battaglione di protezione personale di Adolf Hitler. Venne nuovamente promosso a Generale maggiore poco prima dell'invasione della Polonia.


    Seconda guerra mondiale
    Nel 1940 gli venne affidato il comando della 7a Panzer Divisionen, per il Fall Gelb, l'invasione ad occidente. Rommel mostrò un'abilità considerevole in quell'operazione, e venne nominato comandante delle truppe tedesche, la 5a Leggera (poi rinominata 21. Panzer-Division)e successivamente la 15a Panzer Divisionen, che vennero inviate in Libia all'inizio del 1941 per aiutare le truppe italiane sconfitte, formando così i celebri Deutsches Afrika Korps. Fu proprio in Africa che Rommel si conquistò la sua grande fama di comandante.

    Spese la maggior parte del 1941 costruendo la sua organizzazione e riformando le unità italiane frantumate, che avevano subito una serie di sconfitte, per mano dei britannici guidati dal Generale maggiore Richard O'Connor. Un'offensiva spinse le forze britanniche fuori dalla Libia, ma si fermò poco oltre il confine egiziano, e l'importante porto di Tobruk rimase ancora nelle mani delle forze alleate, dietro le linee dell'Asse. Il comandante in capo britannico, Generale Archibald Wavell scambiò il comando con il comandante in capo in India, Generale Claude Auchinleck. Auchinleck lanciò una grande offensiva (denominata Operazione Battleaxe) per alleviare l'assedio di Tobruk ma, quando la spinta si esaurì, Rommel colpì.

    In un classico esempio di blitzkrieg, le forze britanniche vennero completamente sbaragliate. Nel giro di settimane furono respinte in Egitto. L'offensiva di Rommel si fermò nei pressi della piccola stazione ferroviaria di El Alamein, appena un centinaio di chilometri da Il Cairo. La Prima battaglia di El Alamein venne persa da Rommel perché soffrì dell'eterna maledizione della guerra nel deserto, le linee di approvvigionamento troppo allungate. I Britannici, con le spalle al muro, erano molto vicini ai loro punti di rifornimento, e disponevano di truppe fresche. Rommel cercò ancora di penetrare le linee nemiche durante le Battaglia di Alam Halfa. Venne fermato definitivamente dal nuovo comandante britannico, il Tenente Generale Bernard Montgomery.

    Con le forze britanniche che da Malta interdivano i rifornimenti via mare, e l'enorme distanza che aveva coperto nel deserto, Rommel non poteva tenere la posizione di El Alamein per sempre. Nonostante ciò, occorse un'altra grossa battaglia, la Seconda battaglia di El Alamein per forzare le sue truppe a ritirarsi. Dopo la sconfitta di El Alamein, nonostante le pressioni di Hitler e Mussolini, le truppe di Rommel non riuscirono a resistere e combattere fino a quando non entrarono in Tunisia. Lì giunti, la loro prima battaglia non fu contro l'Ottava Armata Britannica, ma contro il Secondo Corpo d'Armata Statunitense. Rommel inflisse un bruciante rovescio alle truppe americane nella Battaglia del Passo di Kasserine.

    Rivolgendosi ancora una volta a fronteggiare le forze britanniche, sul vecchio confine difensivo francese della Linea del Mareth, Rommel poté solo ritardare l'inevitabile. Lasciò l'Africa dopo essersi ammalato, e gli uomini del suo comando divennero prigionieri di guerra.

    Alcuni sostengono che il ritiro dell'armata di Rommel fino in Tunisia contro il volere di Hitler fu una vittoria più grande della cattura di Tobruk. Tornato in Germania, Rommel fu per qualche tempo virtualmente "disoccupato". Comunque, quando le sorti della guerra si rivolsero contro la Germania, Hitler pose Rommel al comando del Gruppo d'Armata B, responsabile della difesa della costa francese contro una possibile invasione alleata. Dopo le sue battaglie in Africa, Rommel concluse che ogni movimento offensivo sarebbe stato impossibile a causa della supremazia aerea alleata. Riteneva che le forze dei panzer dovessero essere tenute il più vicino possibile al fronte, di modo che non dovessero partire da lontano al momento dell'invasione, di modo da poterla fermare sulle spiagge.

    Il suo comandante, Gerd von Rundstedt, invece sentiva che non c'era modo di fermare l'invasione vicino alle spiagge a causa della soverchiante potenza di fuoco della Royal Navy. Riteneva che i panzer dovessero essere disposti in grosse unità nel retroterra vicino a Parigi, dove potevano permettere agli alleati di dilagare in Francia per poterli poi tagliare fuori. Quando gli venne chiesto di scegliere un piano, Hitler vacillò e li posizionò a metà strada, abbastanza lontani da essere inutili a Rommel, e non abbastanza lontani da poter solo osservare la battaglia come voleva von Rundstedt.

    Il piano di Rommel quasi riuscì a dare comunque i suoi frutti. Durante il D-Day molte unità di panzer, soprattutto la 12. SS-Panzer-Division (la divisione d'elite Hitler Jugend), erano abbastanza vicine alle spiagge e crearono gravi danni. Il soverchiante numero di truppe alleate rese comunque improbabile qualsiasi speranza di successo, e ben presto le teste di ponte sulle spiagge furono assicurate.

    Nel luglio 1944 la sua autovettura venne mitragliata da un aeroplano britannico, e Rommel dovette essere ricoverato con gravi ferite alla testa. Nel frattempo, dopo il fallito complotto del 20 luglio contro Adolf Hitler, vennero sospettate le connessioni di Rommel con i cospiratori. Bormann era sicuro del coinvolgimento di Rommel, Goebbels non lo era affatto. La vera estensione della conoscenza del complotto da parte di Rommel non è ancora chiara. A causa della popolarità di Rommel tra il popolo tedesco, Hitler gli diede la possibilità di suicidarsi con il cianuro o di affrontare il disonore e la rappresaglia nei confronti della sua famiglia e dei suoi collaboratori. Rommel diede termine alla sua vita il 14 ottobre 1944, e venne seppellito con pieni onori militari dopo un grandioso funerale di stato.

    Dopo la guerra vennero pubblicati i suoi diari.


    La personalità di Rommel
    Rommel non apparteneva all'aristocrazia militare prussiana, era invece un ufficiale che proveniva dalla gavetta e in condizioni normali avrebbe potuto aspirare al massimo al grado di Colonnello. Ma la partecipazione alle due guerre mondiali dove diede sfoggio delle sue indubbie doti di comando, unita alla militanza nei Freikorps (da cui sarebbe scaturito il partito Nazista), a cavallo tra le due guerre, lo lanciarono in una carriera che lo portò a poco più di cinquant'anni ad ottenere il grado di Feldmaresciallo (il più alto dell'esercito tedesco).

    La sua estrazione "popolare" piaceva molto a Goebbels, verso il quale Rommel fu sempre molto disponibile, che ne volle sfruttare l'"immagine vincente" per la sua propaganda. I suoi colleghi generali, provenienti dalle accademie prussiane, non nascondevano l'antipatia, se non il disprezzo, che nutrivano nei suoi confronti.

    D'altra parte Rommel non fece mai molto per rendersi simpatico agli occhi degli altri ufficiali superiori. Testardo nelle sue convinzioni, spesso sgarbato, a volte ben oltre i limiti dell'insulto, nei confronti degli altri generali, soprattutto italiani, ma anche della stessa Wehrmacht, era invece adorato dai suoi uomini.

    Motivo dell'ammirazione che suscitava tra la truppa era sicuramente il fatto che Rommel, contrariamente agli altri generali, non si limitava a seguire i combattimenti da distanza di sicurezza, ma era sempre presente in prima linea. A bordo del suo panzer, o del "Mammuth" (un centro comando mobile ricavato da un camion blindato inglese catturato in Africa), o in volo sulle linee a bordo di uno Storch da ricognizione, Rommel si muoveva lungo tutta la prima linea impartendo ordini e guidando i suoi uomini in battaglia.

    Le sue decisioni in battaglia, spesso improvvise e talvolta ai limiti dell'insubordinazione (avanzare quando gli veniva ordinato di fermarsi), oltre a far infuriare i superiori, resero spesso inutile il lavoro svolto da Ultra (il complesso apparato utilizzato dagli inglesi per decodificare i messaggi che i tedeschi si trasmettevano con Enigma) per scoprire i piani dei tedeschi.

    Vale la pena di citare alcuni episodi della "Campagna d'Africa" che possono aiutare a comprendere il carattere di Rommel. Quando la strada verso Il Cairo e il Canale di Suez sembrava ormai spianata, Mussolini volò in Libia per godersi un trionfo che non arrivò; durante la sua permanenza chiese più volte di incontrare Rommel, ma questi si rifutò sempre, adducendo come scusa il fatto che fosse "troppo impegnato in prima linea". Rommel trovò però il tempo per recarsi in visita al capezzale di un maggiore italiano, che, al comando di un reparto di artiglieria, si era distinto nella difesa del Passo di Halfaya, conquistandosi la stima della "volpe del deserto".

    Dopo la presa di Tobruk, un generale sudafricano bianco, parlando anche a nome dei suoi ufficiali, chiese a Rommel di essere detenuto in un'area separata da quella delle truppe di colore. La risposta di Rommel fu secca: "Per me i soldati sono tutti uguali. I neri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto."


    Canto dell'Afrikakorps a lui dedicato

    1. Wir sind das deutsche Afrikakorps

    Des Führers verwegene Truppe

    Wir stürmen wie die Teufel hervor

    Versalzen dem Tommy die Suppe

    Wir fürchten nicht Hitze und Wüstensand

    Wir trotzen dem Durst und dem Sonnenbrand

    Marschieren beim Takt unserer Trommel

    Vorwärts, vorwärts

    |: Vorwärts mit unserem Rommel! :|


    2. Die Briten fürchten uns wie die Pest

    Sie sitzen auf glühenden Kohlen

    Wir rächen Deutsch-Ost und rächen Südwest

    Das einst sie uns feige gestohlen

    Sind Churchhill und Roosevelt auch Wut entbrannt

    Wir werfen die Feinde in jedem Land

    Es schlägt Generalmarsch die Trommel

    Vorwärts, vorwärts

    |: Vorwärts mit unserem Rommel! :|


    3. Mit uns im Kampf und im Siege vereint

    Marschieren Italiens Scharen

    Bis einst die Sonne des Friedens uns scheint

    Und wieder gen Deutschland wir fahren.

    Doch wenn mich die feindliche Kugel fand

    So lasset mich ruhen im Wüstensand

    Und rühret noch einmal die Trommel

    |: Vorwärts mit unserem Rommel :|


    Battaglie di Erwin Rommel
    Battaglia di Arras (1940)
    Assedio di Tobruk (1941)
    Battaglia di Gazala (1942)
    Battaglia di Bir Hakeim (1942)
    Prima battaglia di El Alamein (1942)
    Battaglia di Alam Halfa (1942)
    Seconda battaglia di El Alamein (1942)
    Battaglia del Passo di Kasserine (1943)
    D-Day (1944)

    Ho da qualche parte un articolo di Libero che ne fa un figura negativa

    Wilhelm Canaris

    Wilhelm Franz Canaris (Aplerbeck, 1 gennaio 1887 - Flossenbürg, 9 aprile 1945) fu un ammiraglio tedesco, a comando dell'Abwehr, il servizio segreto della Wehrmacht, dal 1935 al 1944.


    Carriera militare
    Nato nel 1887 ad Aplerbeck, vicino a Dortmund, da una famiglia di lontane origini greche, nel 1905 si arruola come cadetto nella Marina Imperiale Tedesca e fra i primi incarichi da ufficiale, ha il compito di fare da interprete ai tedeschi che rimpatriano dal porto di Veracruz, in Messico, a causa della rivoluzione.

    Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale presta servizio come tenente di vascello e ufficiale addetto alle informazioni a bordo dell'incrociatore Dresden, prendendo parte alla Battaglia delle Falkland con la flotta dell'ammiraglio Maximilian von Spee. Dopo l'affondamento del Dresden al largo delle Isole di Juan Fernández per evitarne la cattura da parte britannica, viene internato in un campo di prigionia in Cile, dal quale evade nell'agosto del 1915 e, dopo una lunga marcia attraverso le Ande, raggiunge l'Argentina, dove riesce ad imbarcarsi per tornare in Germania. Decorato con la Croce di Ferro, viene assegnato al nascente servizio segreto della Marina. Lavora come agente in Spagna dall'aprile del 1916, sfuggendo ad un attentato e diventando uno degli uomini più ricercati dall'MI6, il servizio segreto britannico. Nel 1918 torna in servizio attivo come comandante di U-boot nel Mediterraneo, dove affonda diciotto unità nemiche.

    Al termine della guerra Canaris continua la carriera militare, aderendo inizialmente ai Freikorps, spinto dall'anarchia e dal disordine dilaganti durante i primi giorni della Repubblica di Weimar, e poco dopo nella Reichsmarine. Nel 1919 fa parte della corte marziale che assolve i killer degli spartachisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Viene promosso rapidamente, ottenendo il comando della corazzata Schlesien nel 1922, dell'incrociatore scuola Berlin nel 1923 ed il grado di capitano di vascello nel 1931. In questo periodo prosegue il suo lavoro per i servizi segreti, intesificando i suoi contatti con alti ufficiali, politici ed industriali, nel tentativo di stabilire un nuovo ordine nella politica tedesca. Parallelamente, segue ed appoggia lo sviluppo del partito Nazionalsocialista, non diventandone mai un membro, e nel 1935 diventa capo dell'Abwehr, con la promozione al grado di ammiraglio.


    Il Nazismo e la Seconda Guerra Mondiale
    Sotto la sua direzione, l'Abwehr si organizza in modo più efficace e aumenta la propria influenza a discapito delle agenzie rivali, come la famigerata SD di Reinhard Heydrich, il servizio segreto delle SS. Il primo obbiettivo di Canaris è cercare di migliorare i rapporti fra le due strutture e questo viene facilitato dal fatto che i due comandanti si conoscono dal tempo in cui Heydrich era imbarcato sul Berlin. I compiti vengono divisi: l'Abwehr si sarebbe occupata dello spionaggio e del controspionaggio militare, la Gestapo e la SD avrebbero agito in campo politico.

    Nonostante il suo iniziale appoggio alla presa di potere da parte di Hitler, in cui si illude di vedere il restauratore dei valori germanici, si rende ben presto conto della brutalità nazista ed inizia segretamente a lavorare per rovesciare il regime. Nel 1938, dopo l'annessione dei Sudeti, avvisa il generale Francisco Franco dei piani tedeschi per la cattura di Gibilterra e gli chiede di impedire il passaggio di truppe attraverso la Spagna. Nello stesso anno e successivamente nel 1939 è coinvolto nello studio di due piani per l'assassinio di Hitler.

    Dopo l'inizio della guerra fra Germania e Polonia, visita il fronte ed è testimone delle atrocità e dei crimini di guerra commessi dalle squadre della morte delle SS. Assiste all'incendio della sinagoga di Będzin e alla morte dei residenti ebrei della città. Riceve anche numerosi rapporti da agenti dell'Abwehr su molti altri omicidi di massa in tutto il territorio polacco controllato dalla Wehrmacht. Sconvolto dallo sviluppo della situazione bellica e politica, riunisce attorno a sé ufficiali dell'esercito e funzionari governativi antinazisti, allo scopo di eliminare Hitler e trattare una resa onorevole con gli Alleati. Ne nascerà il fallito Complotto del 20 luglio 1944, dal quale il dittatore esce illeso.

    Dalla feroce caccia ai cospiratori che segue, non sfugge Canaris. Il pomeriggio del 23 luglio Walter Schellenberg, comandante dell'Abwehr dal febbraio 1944, si presenta a casa dell'ammiraglio, alla periferia di Berlino. Trasferito all'Accademia della Gestapo di Fürstenberg/Havel, vi rimane recluso fino al 7 febbraio 1945. Portato al campo di concentramento di Flossenbürg, vicino al confine cecoslovacco, viene ammanettato, incatenato alle caviglie e rinchiuso nella cella numero 22. La sera dell'8 aprile, dopo l'ennesimo interrogatorio con torture, un esanime Canaris batteva sul muro, a beneficio del compagno di prigionia della cella numero 21, un ultimo messaggio: "Naso rotto durante ultimo interrogatorio. La mia ora è giunta. Non ero un traditore. Ho fatto il mio dovere di tedesco. Se sopravvivi, ricordami a mia moglie". La mattina seguente, l'ammiraglio Canaris viene portato nudo al patibolo e strangolato. Meno di un mese dopo, i sovietici avrebbero alzato la bandiera rossa sul Reichstag.



    Heinz Guderian

    Heinz Guderian (Kulm, 17 giugno 1888 - Schwangau, 14 maggio 1954), Generale dell'esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale, fu uno dei più abili strateghi del conflitto, e di fatto è considerato il padre delle truppe corazzate tedesche.


    Biografia
    Nato nel 1888 in una famiglia discendente da proprietari terrieri prussiani, fu uno dei generali di Hitler che meglio interpretò i principi della guerra lampo (Blitzkrieg).

    Nel 1907, subito dopo essere uscito dalla scuola militare di Gross Lichterfelde, venne assegnato ad un reparto di fanteria (il X. battaglione Jäger) che lasciò nel 1911 per frequentare un lungo corso di radiotelegrafia per poi entrare a far parte della 5. Divisione di cavalleria in qualità di ufficiale segnalatore. Nel 1914 viene ammesso alla prestigiosa accademia militare di guerra di Potsdam.

    Lo scoppio della Grande Guerra lo costrinse ad abbandonare la frequentazione dell'accademia e a rientrare alla propria divisione, distinguendosi sulla Marna e venendo successivamente trasferito, a causa dei contrasti sorti con i suoi superiori, dapprima alla 4. Divisione di cavalleria quindi, il 28 febbraio 1918, dopo aver completato il corso di radiotelegrafista interrotto quattro anni prima, al corpo di Stato maggiore, dove rimase fino al termine del conflitto. Trasferito nel 1919 al distretto orientale, venne distaccato alla divisione del generale Rüdiger von der Goltz, di stanza nel Baltico.

    Nuovamente trasferito a causa di episodi di insubordinazione, questa volta con il comandante generale della Reichswehr, generale Hans von Seeckt, rimase nell'ombra fino al 1922 quando si vide affidare l'incarico di studiare la possibilità di creare una forza meccanizzata nell'esercito tedesco.

    Promosso Oberst (colonnello) nel 1933, l'anno successivo venne trasferito, in qualità di capo di Stato maggiore, presso il comando delle truppe corazzate e nel 1935 ricevette il comando della nuova 2. Panzer-Division a Würtzberg. Il 1 agosto 1936 venne promosso Generalmajor (generale di brigata) e il 14 febbraio 1938 Generalleutnant (generale di divisione), pochi giorni prima di essere trasferito presso il comando del XVI. Corpo d'armata, con cui prese parte all'Anschluss.

    Il 20 novembre 1938 viene promosso General der Panzertruppen, ricevendo inoltre l'incarico di comandante dei reparti corazzati tedeschi; nello stesso anno pubblicò un libro dal titolo Achtung Panzer, in cui sostenne che i mezzi corazzati sono il principale strumento offensivo a cui le altre armi devono essere subordinate in caso di attacco concentrato.

    Al comando del XIX. Panzerkorps, prese parte all'attacco alla Polonia, al termine del quale venne decorato con la Croce di Cavaliere della Croce di Ferro. Trasferito sul Fronte Occidentale, guidò le avanguardie tedesche durante l'occupazione della Francia, inizialmente come parte del Panzergruppe von Kleist, e successivamente, a causa di contrasti con von Kleist, alla testa di un proprio reparto autonomo, il Panzergruppe Guderian.

    Nominato Generaloberst, nel giugno 1941 alla guida del 2. Panzergruppe partecipò all'invasione dell'Unione Sovietica (Operazione Barbarossa) all'interno del Gruppo d'armate Centro di von Bock, ottenendo fulminanti successi sul campo alla testa di quella che prese a chiamarsi Panzerarmee Guderian: con manove fulminee occupò Minsk, Smolesnk, e giunto in prossimità di Mosca, fu costretto a dirigersi alla volta di Kiev. Entrato per questo in contrasto con Hitler e con il nuovo comandante del Gruppo d'armate Centro, von Kluge, Guderian venne allontanato per non aver voluto seguire il piano originale dell'attacco.

    Nel febbraio 1943 venne richiamato da Hitler e designato Inspekteur der Panzertruppen (Ispettore generale delle truppe corazzate) dando un grande impulso in collaborazione col ministro degli armamenti Speer alla produzione di carri armati ad alla riorganizzazione delle truppe corazzate. Tali risultati furono vanificati dall'insensato impiego dei mezzi corazzati in operazioni volute da Hitler, in particolare nell'offensiva contro il saliente di Kursk (luglio 1943), che portò alla più grande battaglia di carri della II guerra mondiale . Nominato capo di stato maggiore generale dell'OKH in sostituzione di Kurt Zeitler il 21 luglio 1944 dopo l'attentato a Hitler da parte di von Stauffenberg, mantenne tale incarico sino al 28 marzo 1945, quando, inviato in licenza (ufficialmente) per motivi di salute, venne sostituito da Hans Krebs.

    Consegnatosi agli Alleati il 10 maggio in Tirolo, trascorse in detenzione i tre anni successivi, con la minaccia di essere estradato in Polonia per essere giudicato per crimini di guerra.

    Rilasciato il 17 giugno 1948, si ritirò a vita privata, morendo a Schwangau il 17 maggio 1954.

    Wikipedia


    Hans-Joachim Marseille

    Hans-Joachim "Jochen" Marseille (Berlino, Germania, 13 dicembre 1919 - Sidi Abd el Rahman, Egitto, 30 settembre 1942) soprannominato La Stella d'Africa (tedesco: Der Stern Von Africa) fu uno dei maggiori assi della Luftwaffe tedesca durante la Seconda Guerra mondiale. A questo pilota vennero accreditate 158 vittorie aeree ottenute, per la maggior parte, durante la Campagna del Nord Africa.

    Biografia
    Hans-Joachim Marseille nacque il 13 dicembre 1919 a Berlino-Charlottensburg da una famiglia di origini francesi di religione ugonotta. La carriera aviatoria di Marseille iniziò con la partecipazione ai corsi di volo della Deutsche Lufthansa che preparava segretamente, per conto del Ministero dell'Aviazione del Reich (Reichsluftministerium), i futuri piloti nel periodo in cui il Trattato di Versailles impediva alla Germania di possedere una aviazione militare. Entrò a far parte della Luftwaffe il 7 novembre 1939.

    All'inizio della Seconda guerra mondiale, inquadrato nel 4/JG52 partecipò alla Battaglia d'Inghilterra ottenendo 7 vittorie (la prima delle quali il 24 agosto 1940), danneggiando a sua volta 4 aerei a causa dei colpi nemici e distruggendone uno in fase di atterraggio. Per i risultati ottenuti durante la battaglia venne decorato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Nel marzo 1941 a causa del suo comportamento indisciplinato ed irruento (una vita notturna troppo vivace e scarso rispetto per le tradizionali tecniche di combattimento aereo) venne trasferito, per punizione, al 3/JG27 che si trovava in Africa Settentrionale. L'esordio non fu felice, Marseille venne abbattuto dopo poco da un Hawker Hurricane pilotato da un pilota della Francia Libera. Nonostante questo inizio il suo nuovo comandante, Eduard Neumann, intuendo le potenzialità del pilota, incoraggiò Marseille a sperimentare e migliorare le proprie innovative idee di combattimento.

    Marseille tendeva, infatti, ad applicare una forma diversa di combattimento aereo; i manuali tedeschi dell'epoca consigliavano di portarsi in coda all'aereo nemico con un vantaggio di quota sparando appena il nemico fosse stato a portata di tiro. Marseille utilizzava invece un attacco ravvicinato da lato portato, sulla stessa quota, alla parte anteriore dell'aereo avversario (cercando quindi di colpire la zona motore e l'abitacolo) sparando brevi raffiche alla distanza minima. Inoltre prediligeva il combattimento solitario con un solo gregario a grande distanza (per evitare collisioni in volo): egli aveva correttamente intuito che le rigide formazioni avversarie avevano difficoltà a colpire un singolo aereo che si avvicinava da lato con una serie di spericolate manovre acrobatiche (nelle quali Marseille era maestro). Per addestrarsi Marseille utilizzava i viaggi di rentro dalle missioni, simulando contro i suoi compagni tutte le manovre di avvicinamento, divenendo presto un vero esperto in questo tipo di approccio. I risultati non tardarono a venire, il 24 settembre 1941 ottenne cinque vittorie aeree contro 4 caccia Hurricane e un bombardiere medio Martin Maryland. Il suo metodo inusuale di combattimento lo portò a diventare l'asso più decorato del fronte africano e il suo nome diventò famoso grazie alla propaganda tedesca, rivaleggiando con quello di Erwin Rommel. I suoi nemici lo temevano e il suo caccia Messerschmitt Bf 109F-4/Trop "14 Giallo" divenne famoso in tutta l'Africa.

    Il 17 giugno 1942 venne, a causa delle pessime condizione di salute, inviato il licenza in Germania tornando alla propria squadriglia il 23 agosto dello stesso anno. Il 1 settembre 1942 riuscì ad abbattere, in un solo giorno, diciassette aerei nemici: prodezza per la quale venne decorato con la più alta onorificienza tedesca, la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti.

    Il 30 settembre 1942 di ritorno da una missione al Cairo il suo caccia (che era stato sostituito da pochi giorni), per un problema di lubrificazione al motore, si incendiò riempiendo la cabina di pilotaggio di fumo ed iniziando a perdere rapidamente quota. Marseille, accompagnato dai suoi compagni di volo, cercò di riportare l'apparecchio entro le linee italo-tedesche e, riuscitovi, mise l'aereo in volo rovesciato per aprire il tettuccio e lanciarsi: il suo corpo colpì violentemente il timone di coda del velivolo e, svenuto, non riuscì ad azionare l'apertura del paracadute. Il suo corpo cadde senza vita nella zona di Sidi Abd el Rahman.

    Hans-Joachim Marseille morì a 22 anni e il suo corpo, recuperato, venne seppellito a Derna, per essere trasferito, dopo la guerra, presso il cimitero militare di Tobruk. Egli venne considerato da molti esperti, come Adolf Galland, il miglior pilota da caccia tedesco della Seconda guerra mondiale. Pur ottenendo un numero di vittorie inferiore ad altri piloti (ad esempio Erich Hartmann, 352 vittorie aeree), egli combatté contro le ottime forze britanniche piuttosto che, come molti assi tedeschi, contro le mal addestrate ed equipaggiate truppe sovietiche.


    Onorificenze
    Croce di ferro di 2a classe: settembre 1940
    Croce di ferro di 1a classe: novembre 1940
    Croce tedesca in Oro: 24 novembre 1941
    Croce di Cavaliere: 22 febbraio 1942
    Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia: 6 giugno 1942
    Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade: 18 giugno 1942
    Medaglia d'oro al Valor Militare italiana: 6 agosto 1942
    Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti: 3 settembre 1942.

    Promozioni
    Leutnant (tenente): 1 luglio 1941
    Oberleutnant: aprile 1942
    Hauptmann (capitano): 3 settembre 1942

    Abbattimenti
    Missioni di volo in combattimento: 382
    Totale vittorie: 158 (7 durante la Battaglia d'Inghilterra, 151 in Africa settentrionale)
    Totale vittorie in Africa: 151 di cui:
    101 Curtiss P-40
    30 Hawker Hurricane
    16 Supermarine Spitfire
    4 bombardieri bimotori

    Note significative
    8 vittorie in 10 minuti, 17 vittorie in un solo giorno, 54 vittorie in un mese
    15 colpi di media per abbattimento
    la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti venne conferita solamente 27 volte durante la Seconda guerra mondiale, e solo ad altri 9 assi dell'aviazione.
    La Medaglia d'Oro al Valor Militare italiana venne concessa ad un soldato tedesco solo due volte durante la guerra
    Marseille divenne il più giovane Capitano della Luftwaffe
     
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    Rubio, Rommel mi sembra tutt'altro che dimenticato :blink: ...

    Cioè, che ci fa in quest'elenco?
     
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32 replies since 26/10/2006, 10:03   13472 views
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