Eroi dimenticati

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    Giovanni Palatucci

    Nato a Montella (Avellino) il 31 maggio 1909, morto a Dachau il 10 febbraio 1945, avvocato, funzionario di Pubblica sicurezza, Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria.

    Il padre di Giovanni Palatucci lo avrebbe voluto avvocato in Irpinia, ma lui, dopo il Liceo a Benevento, era partito, era il 1930, per il servizio militare in Piemonte. Di stanza a Moncalieri, aveva sì completato gli studi di Giurisprudenza a Torino, laureandosi a 23 anni con una tesi in Diritto penale, ed aveva anche superato gli esami per Procuratore legale, ma l’avvocatura non lo entusiasmava.
    Nel 1936 era a Genova, come vice Commissario aggiunto di P.S. Ci rimase poco. Non era, infatti, per nulla incline al conformismo, così ai primi del 1938 venne “esiliato” alla Questura di Fiume. Qui divenne Commissario e poi Questore reggente, con la responsabilità dell’Ufficio stranieri. Grazie a questo ruolo, con le leggi razziali in vigore, svolse con gran rischio personale un’intelligente attività a favore di ebrei italiani e stranieri. È stato calcolato che, distruggendo archivi e procurando documenti falsi, abbia, nel giro di sei anni, salvato dalla deportazione (anche con la collaborazione di uno zio, vescovo della Diocesi di Campagna) almeno cinquemila persone.
    Palatucci continuò la sua generosa attività anche durante l’occupazione nazista di Fiume. Ad un certo momento il C.L.N. fiumano, nel quale Palatucci era entrato con il nome di dott. Danieli, fu informato che i nazifascisti avevano cominciato a sospettare della sua attività; a Palatucci fu consigliato di mettersi in salvo, ma lui rifiutò: una sua fuga, disse, avrebbe messo in difficoltà i sottoposti che lo avevano aiutato.
    Arrestato nella sua casa, il 13 settembre del 1944, dalla polizia di sicurezza germanica, il Questore di Fiume – che non aveva fatto nomi nonostante le torture - fu condannato a morte per “cospirazione e intelligenza con il nemico”. La pena fu poi commutata nella deportazione e, quaranta giorni dopo l’arresto, Giovanni Palatucci entrava nel campo di Dachau con il numero di matricola 117826. Vi sarebbe morto, in seguito agli stenti e alle sevizie patite, due mesi prima della liberazione del campo.
    Per lungo tempo in Italia, fuori della ristretta cerchia degli specialisti e dei compaesani, il nome di Giovanni Palatucci è stato quello di uno sconosciuto, anche se già dal 1952 in Israele gli avevano attribuito il titolo di “Giusto tra le nazioni”. È stato merito di Goffredo Raimo, con il suo libro A Dachau, per amore, del 1989, se il nome di Palatucci è tornato nella memoria storica del nostro Paese, tanto che nel 1995, in occasione della festa della Polizia, l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, conferì a Palatucci la Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria. A questo tardivo riconoscimento, seguì, nell’aprile del 2000, uno “speciale” della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”; nel settembre del 2001, la RAI ha dedicato all’eroico funzionario di Polizia uno sceneggiato in due puntate dal titolo Senza confini. Il 13 settembre 2006 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della manifestazione promossa dal Comitato Giovanni Palatucci, per presentare il volume Bad Times, Good People, sulla vita dei deportati nel campo di concentramento di San Bartolomeo, ha inviato al Presidente del Comitato, dott. Michele Aiello, un messaggio in cui ricorda la figura del dott. Palatucci, ultimo Questore di Fiume italiana, morto nel campo di sterminio di Dachau, come "esempio eroico di coraggio e solidarietà a tutela del valore più alto proclamato dalla Costituzione repubblicana, la dignità umana. La sua straordinaria lezione di generosità e di altruismo ha contribuito a riscattare il nostro Paese dalla vergogna delle leggi razziali dimostrando come in significative occasioni gli italiani seppero anteporre le ragioni della loro coscienza alla violenza della dittatura. La testimonianza di tutti coloro che hanno vissuto quei drammatici avvenimenti richiama ancor oggi al dovere della memoria, soprattutto nel rapporto con i giovani, affinché si consolidi il rifiuto dell'intolleranza, e dell'odio razziale, e si diffonda il ripudio di ogni forma di intolleranza in favore del rispetto delle diverse identità culturali e religiose dei popoli."

    www.anpi.it

    Giorgio Perlasca


    Giorgio PerlascaGiorgio Perlasca (Como, 31 gennaio 1910 - Padova, 15 agosto 1992), commerciante italiano, divenne famoso quando fu reso noto che egli aveva salvato la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi durante la seconda guerra mondiale, strappandoli alla deportazione nazista.

    Biografia
    Da giovane Perlasca aderì in modo convinto al Partito Fascista e combatté come volontario in Africa orientale e poi in Spagna in appoggio alle truppe golpiste del generale Francisco Franco, dove rimase come artigliere fino al 1939.

    Al principio della seconda guerra mondiale Perlasca si trovò a lavorare prima in Iugoslavia e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, in qualità di agente per una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini).

    Il giorno dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Re, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo si trovò ad essere ricercato dai tedeschi, che intendevano arrestarlo per tradimento, e fu costretto a trovare rifugio presso un’ambasciata spagnola.

    Ottenuti dall'ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, si trasformò in «Jorge Perlasca» e venne impiegato dall'ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati all'uopo in «case protette» dietro il rilascio di salvacondotti. Tale operazione era stata organizzata con la collaborazione di alcune ambasciate di altre nazioni.

    Quando nel novembre 1944 Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l'Ungheria, per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise di restare e di spacciarsi come sostituto del console partente, redigendo di suo pugno la nomina ad ambasciatore con tanto di timbri e carta intestata.

    Da quel momento Perlasca si trovò a gestire il "traffico" di migliaia di ebrei, nascosti nell'ambasciata e nelle case protette sparse per la città. Tra il 1° dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945 rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, arrivando più volte a strappare letteralmente dalle mani delle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.

    Si calcola che grazie all'opera di Perlasca circa 5.200 ebrei furono salvati dalla deportazione.

    Dopo l'entrata a Budapest dell'Armata Rossa, Perlasca venne fatto prigioniero dai Sovietici e liberato dopo qualche giorno. Tornato in Italia, riprese la sua vita di prima senza troppi clamori. Dai pochi a cui tentò di raccontare la sua vicenda non fu creduto. Soltanto nel 1987, oltre quarant'anni dopo, alcuni ebrei ungheresi residenti in Israele rintracciarono finalmente Perlasca (reputato da molti un cittadino spagnolo) e divulgarono la sua storia di coraggio e solidarietà. Perlasca ha ricevuto per la sua opera numerose medaglie e riconoscimenti.

    Il 23 settembre 1989 fu insignito da Israele del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni Al museo Yad Vashem di Gerusalemme, nel vialetto dietro al memoriale dei bambini è stato piantato un albero a lui intitolato.

    Giorgio Perlasca è morto a Padova il 15 agosto 1992 all'età di 82 anni.

    La RAI il 28 e 29 gennaio 2002 in occasione del giorno della memoria ha mandato in onda il film TV Perlasca. Un eroe italiano. Nel film viene raccontata la vita di Perlasca dal suo lavoro a Budapest fino al suo ritorno in Italia dopo la fine della guerra.


    Onorificenze
    Giusto tra le Nazioni (Israele)
    Medaglia d’Oro al Valor Civile (Italia)
    Grande Ufficiale della Repubblica (Italia)
    Stella al Merito (Ungheria)
    Onorificenza di Isabella la Cattolica. (Spagna)

    Bibliografia
    Giorgio Perlasca, L’impostore, Il Mulino
    Enrico Deaglio, La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli ISBN 8815060898
    Teresio Bosco, I novanta giorni di Giorgio Perlasca, salvatore di ebrei, Elledici editore ISBN 8801023510


    Dopo la costituzione della repubblica di Mussolini un certo numero di piloti
    restarono al nord e ricostituirono l'aviazione. Al loro attivo missioni eccezionali

    GRUPPO AEROSILURANTI BUSCAGLIA:
    UN LAMPO DI EPOPEA SULLA RSI

    di Alberto Rosselli


    Nell'autunno del 1943, il capitano Carlo Faggioni - ex compagno d'arme dell'asso degli aerosiluranti della Regia Aeronautica Carlo Emanuele Buscaglia e di tanti altri valorosi piloti della specialità che per oltre tre anni, ai posti di comando dei loro grossi Savoia Marchetti SM79, avevano saputo infliggere alla Royal Navy tante dure perdite - decise, assieme ad un gruppo di suoi commilitoni, di dare vita ad un nuovo Corpo Aerosiluranti sotto le insegne della neonata Repubblica Sociale Italiana.
    Un'impresa che apparve subito molto ardua un po' per la carenza di aerei, mezzi e personale specializzato e un po' per l'atteggiamento se non proprio ostile almeno diffidente del Comando Supremo Tedesco. Erano passati appena un paio di mesi dalla firma del vergognoso armistizio dell'8 settembre, e la Germania, pur favorendo la nascita della RSI e consentendo a Mussolini di risalire la china della sconfitta, non vedeva di buon occhio iniziative di carattere militare proposte dai nuovi alleati della Repubblica Sociale Italiana che andassero oltre quelle da essi contemplate. Nell'ottobre del 1943, il Comando della Luftwaffe, dietro parere favorevole di Hitler, aveva consentito la costituzione di una Milizia, di un piccolo esercito (composto da tre divisioni che si sarebbero dovute addestrare in Germania), e la creazione di una modesta Aviazione e di un'ancora più modesta Marina Repubblicane, ma - per quanto concerneva proprio la ricostituzione delle specialità dell'Aviazione - aveva concesso soltanto la messa a punto di reparti caccia e da trasporto, negando la rinascita di reparti da bombardamento e siluranti.
    Fu quindi attraverso molte e apparentemente insuperabili difficoltà che il capitano Carlo Faggioni, pur potendo vantare una carriera militare a dire poco brillante (nel corso della guerra, l'ufficiale aveva conseguito nel Mediterraneo significativi successi, colpendo e danneggiando la corazzata inglese Barham, affondando il grosso piroscafo Thermopylae e attaccando l'incrociatore Breconshire e la portaerei Argus, anch'essi appartenenti alla flotta di Sua Maestà), riuscì a guadagnarsi la stima e la fiducia dei tedeschi, portando a compimento il suo progetto. Va subito detto che il sogno di Faggioni, che, come si è detto, mirava alla ricostituzione nel Nord Italia della Specialità Aerosiluranti, venne sostenuto in maniera del tutto decisiva dallo stesso creatore della Aeronautica Repubblicana, il tenente colonnello Ernesto Botto e dal maresciallo Rodolfo Graziani, capo supremo delle forze armate della RSI. Grazie ai buoni uffici del colonnello Botto (che si recò in persona a Berlino per convincere il maresciallo Goering a dare il suo assenso al progetto) che già ai primi di novembre del '43 il primo Savoia Marchetti SM79 della RSI (uno dei pochi esemplari scampati alle battaglie dell'estate precedente) poté essere completamente revisionato e rimesso a disposizione dei piloti e degli specialisti nel frattempo cooptati da Faggioni. A dirigere la Specialità degli Aerosiluranti Repubblicani venne chiamato il tenente colonnello pilota Arduino Buri (che durante il conflitto era riuscito con il suo SM79 a silurare la corazzata britannica Nelson), mentre la gestione operativa del Gruppo venne affidata allo stesso Faggioni che volle intitolare la sua unità in memoria dell'ex compagno Buscaglia (pilota che Faggioni e i suoi compagni credevano caduto in combattimento nel corso di una missione al largo della costa algerina). Ottenuti dal Comando della Luftwaffe gli indispensabili permessi e superati, con molta volontà e immaginazione, numerosi problemi logistici ed organizzativi, Faggioni riunì i suoi uomini (piloti, specialisti, meccanici e avieri) e i suoi mezzi (appena una mezza dozzina di usurati SM79) sul campo di Firenze. Quindi, sistemati alla bene meglio uomini mezzi nelle locali strutture aeroportuali, iniziò a martellare il Comando dell'Aviazione Repubblicana con richieste di nuovi aerei, di pezzi di ricambio, motori di riserva, siluri, munizioni per le mitragliatrici di bordo e attrezzature di volo e di terra. Insomma, tutto quanto era indispensabile per riportare all'efficienza operativa un nuovo nucleo da combattimento. Nel giro di un paio di settimane, per interessamento personale del colonnello Botto, il reparto ricevette dalla SIAI di Vergiate un certo numero di SM79 nuovi di zecca ed altri ancora, di seconda mano, recuperati in Italia, in Germania e perfino in Danimarca.
    Va ricordato, a questo proposito, che all'indomani dell'8 settembre del '43, la Germania aveva requisito un grande numero di aerei italiani distribuendoli su numerosi aeroporti della Luftwaffe (diversi SM79 siluranti dell'ex Regia Aeronautica, vennero ripescati dai tecnici di Faggioni sugli aeroporti tedeschi di Shongan e Gotenhafen e presso la danese Flieger Torpedo Schule di Falster). Ai primi di novembre, il Gruppo di Faggioni si trasferì sulla pista di Varese-Venegono per iniziare il ciclo addestrativo, mentre nel contempo veniva creata una seconda base operativa a Merna (Gorizia).
    Il reparto venne suddiviso su tre Squadriglie comandate dal capitano Giuseppe Valerio, dal veterano tenente Irnerio Bertuzzi e dal capitano Carlo Chinca. Dopo due mesi di prove e di continui addestramenti al volo, diurno e notturno, e al lancio di simulacri di siluri, i nuovi equipaggi poterono considerarsi pronti per l'azione. Il 9 febbraio del 1944, alla presenza di alte autorità militari repubblicane e tedesche, gli equipaggi giurarono fedeltà alla RSI, rendendo onore alla bandiera del 36mo Stormo Aerosiluranti che era stata ereditata dal capitano Faggioni. E ai primi di marzo una Squadriglia venne dislocata in Friuli, mentre le altre due furono mantenute a Venegono.
    L'8 marzo, sette SM79 si spostarono, infine, sull'aeroporto S. Egidio di Perugia per iniziare un difficile ciclo di operazioni contro la flotta angloamericana alla fonda davanti ad Anzio e Nettuno. La notte del 10 marzo, in concomitanza con un bombardamento diversivo tedesco, due SM79 al comando di Faggioni e Bertuzzi (i due piloti che potevano vantare la maggiore esperienza) decollarono ed attaccarono con decisione la flotta alleata. Entrambe gli aerei colpirono con il siluro di bordo due unità da trasporto, una delle quali (quella attaccata da Bertuzzi) da 7.000 tonnellate di stazza.
    Galvanizzati dal quel primo successo, il 14 dello stesso mese, altri sette trimotori ripeterono l'azione contro unità nemiche al largo di Nettuno e di Napoli, e gli aerei dei piloti Faggioni, Valerio, Sponza, Bertuzzi, Teta, Amoroso e Balzarotti affondarono o danneggiarono gravemente un mercantile da 5.000 tonnellate, un'unità militare d'appoggio a mezzi da sbarco (la LST348) e due altri trasporti minori. Nel corso dell'azione, vennero abbattuti gli SM79 dei tenente Balzarotti e Teta: i primi caduti del Gruppo. Accusato il colpo, il Comando alleato volle dare un'immediata lezione agli impudenti piloti repubblicani, e il 18 marzo una grossa formazione di quadrimotori statunitensi mise a ferro e fuoco l'aeroporto di Merna, distruggendo hangar, depositi, magazzini ed incendiando diversi SM79.
    Ripresisi dalla batosta, gli uomini del Gruppo "Buscaglia" si trasferirono sul più sicuro campo di Lonate (Milano), e già all'inizio di aprile le squadriglie siluranti repubblicane furono nuovamente in grado di riprendere la lotta. Il 6 aprile, 13 SM79, undici dei quali appesantiti dai siluri, decollarono diretti verso il campo trampolino umbro di S. Egidio, ma giunti sulla sua verticale vennero attaccati da una grossa squadriglia di caccia pesanti statunitensi P-47 Thunderbolt che fecero scempio di molti velivoli italiani. Nel violentissimo scontro quattro aerei repubblicani caddero in fiamme ed altri due subirono gravissimi danni.
    L'SM79 del tenente Sponza, ripetutamente colpito e con un motore in fiamme, riuscì però ad abbattere con le sue mitragliatrici difensive un caccia americano, effettuando poi un atterraggio di emergenza sul campo di Peretola. La strage di S. Egidio tuttavia non riuscì a fiaccare lo spirito del Gruppo che, nel giro di pochi giorni riuscì a rimettere insieme agli unici cinque aerei rimasti indenni per tentare di proseguire le missioni nel Tirreno. La sera del 10 aprile, quattro SM79 partirono da Perugia (il quinto dovette rinunciare pochi minuti dopo il decollo per avarie ad un motore) ed attaccarono nuovamente, al largo di Nettuno, la flotta alleata.
    Gli aerei, al comando di Faggioni, Valerio, Sponza e Bertuzzi, riuscirono a colpire tre piroscafi, ma l'intera squadriglia venne annientata dalla violentissima reazione antiaerea. Faggioni cadde da valoroso assieme ai suoi e a Lonate poté rientrare soltanto l'aereo del tenente Bertuzzi. Toccò allora al capitano pilota Marino Marini raccogliere la pesante eredità lasciata dal capitano Faggioni. Marini, dimostrando grandi capacità organizzative e tenacia fuori dal comune, si diede subito da fare per raccogliere nuovamente uomini e mezzi, tra cui alcuni nuovi SM79 IIIS appena usciti dalle officine della SIAI (questa nuova versione dell'SM79S era dotata di motori e di armamento più potenti e di accorgimenti tecnici più moderni).
    Completato il nuovo, indispensabile ciclo di addestramento, ai primi di giugno del 1944 il Gruppo "Buscaglia" era già in grado di ributtarsi nella mischia, pur nella consapevolezza di dovere affrontare un nemico sempre più forte e numeroso. Per cercare di risollevare il morale della Aeronautica Repubblicana (ormai lasciata dai tedeschi praticamente sola a difendere il territorio dell'Italia Settentrionale),
    Marini elaborò un ardito piano per attaccare la flotta inglese all'ancora nella lontana rada di Gibilterra. Confidando nel fatto che l'Ammiragliato Britannico non reputava più il nemico capace di compiere una missione su un così lontano obiettivo (tra l'estate del '40 e l'estate del '42 gli speciali trimotori SM82B e i quadrimotori Piaggio P108 della Regia Aeronautica erano riusciti a bombardare la Rocca), Marini insistette con il Comando Tedesco, in un primo tempo molto scettico, circa l'opportunità di sferrare l'ultima, improvvisa ed inaspettata zampata contro il leone assopito nella sua stessa tana.
    Marini selezionò 10 equipaggi scelti e, dopo avere studiato nei minimi dettagli l'organizzazione della missione, decise, data la distanza dell'obiettivo, di spostare il Gruppo su un aeroporto trampolino della Francia meridionale. Non potendo disporre di basi in Sardegna (isola dalla quale, negli anni '40,'41 e '42, gli aerei italiani destinati ai bombardamenti su Gibilterra erano soliti decollare), Marini fece trasferire in gran segreto, con la collaborazione dei tedeschi, tutti i suoi aerosiluranti sulla base di Istres.
    La manovra venne effettuata il 2 giugno e si avvalse della preziosa collaborazione tecnica e logistica degli ufficiali della Luftwaffe Muller-Clem e Helfferich (quest'ultimo parteciperà alla missione contro la Rocca in qualità di ufficiale di collegamento). La sera del 4 giugno 1944, dieci SM79S del Gruppo "Buscaglia", decollarono in direzione di Gibilterra e alle ore 02.20 antimeridiane del giorno 5 si avventarono sulle ignare navi inglesi che affollavano la rada. L'attacco venne condotto in maniera impeccabile e a bassissima quota (70 metri). Il capitano Bertuzzi attaccò per primo, seguito da tutti gli altri. Dieci furono i siluri, sganciati a non più di 700 metri dai bersagli, e sei le fragorose esplosioni che squarciarono la notte.
    Centrato l'obiettivo, otto velivoli del Gruppo, inseguiti dai riflettori, dalla contraerea e dai caccia notturni inglesi, puntarono subito a nord lungo la rotta del ritorno, raggiungendo sani e salvi (anche se dopo molte ore di volo, e con i motori centrali spenti per risparmiare carburante) la base di Istres. Poche ore dopo si seppe che gli unici due velivoli mancanti all'appello erano stati costretti per carenza di benzina ad atterrare in territorio neutrale spagnolo. Rientrato a Lonate Pozzolo con i suoi uomini e i suoi aerei, il capitano Marino Marini venne accolto trionfalmente da una folta schiera di ufficiali italiani e tedeschi. Con la felice missione su Gibilterra del 5 giugno 1944 terminava così la gloriosa attività degli aerosiluranti repubblicani nel bacino mediterraneo occidentale.
    A partire dal mese di luglio, infatti, il Gruppo "Buscaglia" spostò la sua area operativa nel quadrante adriatico e, successivamente, in quello dell'Egeo e del Mediterraneo centrale. La prima azione in Adriatico venne compiuta il 6 luglio da cinque SM79S, ai comandi del capitano Bertuzzi, del sottotenente Bellucci, del sergente maggiore Canis, del tenente Neri, del sergente maggiore Sessa e del sergente maggiore Ferraris. Gli aerei, dopo essere decollati da Lonate, raggiunsero il campo trampolino di Treviso e di lì spiccarono il volo in direzione sud, verso il porto di Bari, gremito di navi inglesi. Nel corso dell'attacco, contrastato da un forte tiro antiaereo, gli SM79S del tenente Ruggeri, del sottotenente Bellucci e del capitano Bertuzzi riuscirono a centrare in pieno tre piroscafi nemici, mentre l'aereo del tenente Perina riuscì, fuori dalle acque portuali, ad intercettare e a colpire il cacciatorpediniere inglese Sickle che affondò in poche decine di minuti.
    L'unico aereo italiano ad essere danneggiato nel corso di questa brillante azione fu quello del tenente Del Prete, costretto ad ammarare sulla via del ritorno, a poca distanza dal litorale romagnolo. Sulla scorta dei buoni risultati conseguiti, il maggiore Marini (promosso a questo grado in seguito all'azione su Gibilterra) inaugurò, ancora una volta in collaborazione con il Comando Tedesco, un nuovo ciclo di operazioni nell'Egeo. A tale scopo, nel mese di luglio del '44, 12 velivoli del Gruppo (10 operativi e due di supporto tecnico) si spostarono sull'aeroporto greco di Eleusi, nei pressi di Atene. Suddivisi in due sezioni di cinque apparecchi ciascuno, gli SM79S iniziarono quasi subito la loro attività compiendo ricognizioni armate su una vasta zona compresa tra Cipro, Rodi, Creta e la costa egiziana e libica.
    Tale attività condusse ai risultati sperati e consentì al tenente Merani di affondare quasi subito un piroscafo da 4.000 tonnellate. Questo primo successo venne poi bissato dal tenente Morselli che, il 4 agosto al largo della costa cirenaica, silurò un cargo da 7.000 tonnellate. Dopo avere effettuato una lunga ricognizione armata nelle acque dell'isola di Malta, nel corso della quale non venne però individuato alcun piroscafo nemico, una sezione si spostò più ad oriente compiendo una missione nella zona di Cipro. Proprio nel corso di questa operazione, una pattuglia di caccia britannici decollati dall'aeroporto di Limassol intercettò l'SM79S del maresciallo Jasinki, abbattendolo, mentre altri due Savoia Marchetti, anch'essi colpiti, furono costretti ad effettuare ammaraggi di fortuna, non lontano dalla costa cretese.
    Gli equipaggi italiani vennero recuperati e portati in salvo da un paio di idrovolanti tedeschi. Terminato il lungo ciclo operativo "orientale", durato due mesi, Marini decise di fare rientrare in Italia tutti i suoi aerei. Disgraziatamente, durante il sorvolo dell'aeroporto di Belgrado, l'SM79S del tenente Morselli venne erroneamente scambiato per un apparecchio italiano "cobelligerante" (cioè appartenente all'Aviazione del Sud) e abbattuto dalla contraerea tedesca. Nell'incidente perì anche il capitano Helfferich. Nel mese di agosto, giunto a conoscenza della vera fine del maggiore Buscaglia (l'asso era scampato all'abbattimento al largo delle coste africane ed in seguito aveva deciso di aderire all'Aeronautica del Sud, rimanendo poi vittima di un incidente a bordo di un aereo di fabbricazione americana durante un decollo dalla base alleata di campo Vesuviano), il maggiore Marini, pur venerando la figura dell'asso, decise di rinominare il suo Gruppo alla memoria del camerata Faggioni.
    Ma ormai la guerra aveva preso una piega definitivamente negativa per la piccola ma coraggiosa Aeronautica Repubblicana: una situazione che molto rapidamente costrinse i reparti della RSI ad un'operatività sempre più ridotta, anche a causa della ormai cronica penuria di carburante, di aerei e di pezzi di ricambio. Nonostante tutto, alla vigilia del natale 1944, quattro SM79 tentarono ancora un'azione offensiva nella zona di Ancona che portò all'affondamento di una nave da carico da 7.000 tonnellate. Dieci giorni più tardi, il 5 gennaio del 1945, l'SM79S del tenente Del Prete conseguì l'ultimo successo, in assoluto, degli aerosiluranti italiani nel corso dell'intero conflitto, affondando al largo delle coste adriatiche un piroscafo da 5.000 tonnellate.
    Terminava così l'epopea del Gruppo "Faggioni" ex-"Buscaglia" che, nel periodo compreso tra il marzo del '44 e l'inizio del '45, era riuscito a colare a picco 19 piroscafi e un cacciatorpediniere, per un totale di 115.000 tonnellate di naviglio, a fronte della perdita di 16 velivoli e il sacrificio estremo di 38 piloti e 185 specialisti.


    BIBLIOGRAFIA
    N. Beale, F. D'Amico, G. Valentini, Air war Italy 1944-45, Shrewsbury 1996, Airlife Publishing
    N. Arena, Battaglie nei cieli d'Italia 1943-45. Storia dell'aviazione della R.S.I., Bologna 1971, Intyrama
    a cura di E. Brotzu, G. Cosolo, Aerei italiani nella seconda guerra mondiale, vol. 3, 1976 Roma, Edizioni Bizzarri


    www.storiain.net

    Da notare che il comandante Bertuzzi sarà scelto dall'ex comandante partigiano Enrico Mattei (ministro dell'ENI dal dopoguerra) come pilota personale e comandante della flotta aerea dell'ENI.
     
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32 replies since 26/10/2006, 10:03   13475 views
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