Eroi dimenticati

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    Roberto BERETTA

    La resistenza e le morti dimenticate. Inchiesta (5). Brigate contro il Biancofiore
    tratto da Avvenire, 10.02.2004

    Molti semplici cattolici e dirigenti dc uccisi nel dopoguerra in Emilia Il caso di Giorgio Morelli, ex partigiano fatto eliminare dai suoi.


    Il primo partigiano a entrare in Reggio Emilia, alle 16.30 del 24 aprile 1945, fu un cattolico: Giorgio Morelli, nome di battaglia «Il Solitario». Si era fatto prestare una bicicletta da donna da Ermanno Dossetti (fratello del più noto futuro deputato-monaco Giuseppe) ed a cavallo dello scalcagnato mezzo si era spinto nella città ormai quasi abbandonata dai tedeschi. Issato il tricolore sul balcone del municipio.
    Reggio «la rossa» liberata da un «bianco»... O da una «Fiamma verde», se si preferisce: tale era infatti la denominazione delle formazioni partigiane cattoliche attivissime nel Reggiano, dove furono comandate addirittura da un coraggioso e lungimirante sacerdote, don Domenico Orlandini detto «Carlo». Così la montagna a Reggio era «verde», la pianura invece «rossa»: ovvero sottoposta al controllo delle locali Brigate Garibaldi, guidate dal commissario politico «Eros» Didimo Ferrari. E l'esplicita dialettica tra le due anime della resistenza non attese certo la liberazione per manifestarsi.

    Dopo il 25 aprile, tuttavia, i nodi - fin allora dipanati attraverso la mediazione del comando militare unico - vennero al pettine delle rispettive direttive ideologiche. Che per i comunisti sembravano assolutamente chiare e già erano state inculcate con capillare lavoro politico fin dalla clandestinità; mentre infatti i quadri superiori del Partito raccomandavano (come in questa direttiva del novembre 1944) di mantenere l'unità «colle masse cattoliche» e «ricordarsi sempre che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista e comunista», nel dettaglio era ben viva la sensazione che - subito dopo la fine del regime - i comunisti avrebbero usato le medesime armi per occupare il potere.
    Così, se «Eros» protesta contro la scarsa opportunità di potenziare le Fiamme Verdi, il battagliero «Carlo» fa sapere in giro che «se i comunisti scateneranno la rivoluzione, le formazioni montanare armate di cristiano-sociali piomberebbero loro alle spalle». Lo stesso Giuseppe Dossetti, che pure di nome di battaglia faceva «Benigno» e che nel dopoguerra sarà tra i democristiani più aperti alle sinistre, deve più volte stigmatizzare i metodi scorretti dei combattenti comunisti «per l'intensificarsi delle azioni arbitrarie di rapina... per l'aumentare delle uccisioni arbitrarie e senza controllo di pretese spie».

    Ma proprio «Il Solitario» era destinato ad essere prima il testimone, poi il martire delle stragi comuniste. Morelli (di famiglia molto cattolica: un fratello diventerà prete, una sorella missionaria) a 19 anni è l'anima del giornale partigiano La Penna, che uscirà solo per 4 numeri tra marzo e aprile del 1945, suscitando subito la massima riprovazione dei comunisti. In quel periodo Mario Simonazzi, già vicecomandante di una formazione partigiana «rossa» e amico di Giorgio Morelli, viene giustiziato con un colpo alla nuca; «Il Solitario» decide allora di indagare su quello strano assassinio (il corpo di Simonazzi, che non era comunista, verrà ritrovato a estate inoltrata) e sulle giustizie sommarie di cui Reggio diventa presto teatro.

    La Nuova Penna, rinata nell'autunno 1945, era così temuta che dovevano stamparla dai Benedettini di Parma, perché in provincia di Reggio nessuna tipografia poteva permettersi uno sgarro del genere ai comunisti. Gli articoli de «Il Solitario» sono ogni volta denunce documentate, con tanto di nomi di mandanti ed esecutori; e c'è, fin nei titoli, anche quello del potentissimo capo avversario, divenuto nel frattempo presidente dell'Associazione Partigiani provinciale: «Eros, per chi suonerà la campana?», è intestato un celebre articolo. Nel testo le accuse si rincorrono pesanti: «La nostra voce che chiede libertà ed invoca giustizia è una voce che ti fa male e che ti è nemica. Quell'"Inchiesta sui delitti" che tu, se fossi un uomo d'onore ed un uomo puro avresti per primo dovuto esigere e portare a termine è la vera causa della nostra cacciata dalla tua organizzazione. Noi abbiamo semplicemente chiesto che tra i patrioti veri della resistenza più non avessero a rimanere i delinquenti comuni, i ladri di professione, gli uomini con le mani sporche di sangue innocente»...

    E invece in Emilia gli omicidi «cannibalistici» - ovvero esercitati da antifascisti (ma comunisti) su antifascisti (spesso cattolici) - non cessarono per mesi; sul numero stesso delle esecuzioni sommarie le parti continuano ad accapigliarsi: per Reggio si va dai 2000 di fonte repubblichina agli oltre 400 calcolati dagli «antifascisti». Ancora una decina d'anni or sono l'uscita di un Martirologio, curato dall'Associazione delle Famiglie dei caduti della Rsi, provocò sui giornali locali un'aspra contestazione nome per nome. Comunque, anche lasciando da parte le uccisioni di sacerdoti, nel famoso «triangolo rosso» furono molti i trucidati dagli ex compagni solo perché credenti ovvero democristiani: per esempio il giovane partigiano dc Saturno Gagliardelli, il sindacalista Giuseppe Fanin (ammazzato nel novembre 1948), il segretario dc di Anzola Emilia (Bo) Luigi Zavattaro assassinato il 7 febbraio 1946... In provincia di Modena tra maggio e luglio 1945 vengono uccisi ben 4 dirigenti dc.

    I partigiani cattolici dunque sono stati doppiamente nel mirino: prima dei nazifascisti, poi dei comunisti. Come accusava il giornalista-partigiano Morelli, rivolgendosi ad Eros: «Nel nostro ultimo colloquio hai pronunciato queste parole: "Preferirei darvi un colpo di pistola che discutere con voi!"». Auspicio che si realizza anche per «Il Solitario» una sera di gennaio 1946; i colpi di pistola del solito agguato però non uccidono l'intrepido cercatore della verità, che fa in tempo a farsi vedere in Reggio con addosso l'impermeabile sforacchiato, a mo' di sfida e di memento. La morte arriva il 9 agosto 1947, in un sanatorio del Trentino dove «Il Solitario» tenta di curare la tubercolosi nata dalla ferita. Sul suo diario è rimasta questa frase: «L'odio non è mai stato ospite della mia casa. Ho creduto in Dio, perché la sua fede è stata la sola ed unica forza che mi ha sorretto».



    Amedeo Guillet

    Il 6 novembre 2001 il presidente della Repubblica conferiva ad Amedeo Guillet la Gran Croce dell'Ordine Militare d'Italia citandolo come "Luminoso esempio di cittadino e di soldato, fedele servitore dello Stato e benemerito della nazione, da additare alle future generazioni." La sua vita è stata oggetto di due biografie, la prima scritta da Dan Segre edita nel 1993 e intitolata "La guerra privata del tenente Guillet", la seconda scritta da Sebastian O'Kelly edita nel 2002 e intitolata "Amedeo - Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet un eroe italiano in Africa Orientale".
    Oggi, a 95 anni, Amedeo Guillet è presidente onorario della Associazione nazionale arma di cavalleria; vive in Irlanda ma torna sovente in Italia. L'ultima occasione è stata tra l'altro una mostra a lui dedicata dalla associazione culturale Eteria e inaugurata lo scorso 1° ottobre nelle sale del Palazzo Bertazzoli di Bagnolo Mella, in provincia di Brescia. Oltre alle immagini che ripercorrono gli episodi salienti della vita di questo protagonista della storia italiana del Ventesimo secolo, sono esposti numerosi cimeli provenienti dal museo nazionale dell'Arma di cavalleria di Pinerolo. Il più significativo è il medagliere di Guillet, ufficiale italiano vivente più decorato.

    L'atmosfera della cerimonia di inaugurazione è stata dominata dalla presenza di questo straordinario personaggio, nobile, ufficiale di cavalleria e ambasciatore. Come ricorda il suo biografo O'Kelly, "Amedeo Guillet è un uomo che si è distinto in ogni tipo di società si sia trovato ad agire, nel mondo sportivo dell'ippica come campione di raffinata classe aristocratica, in guerra come abile comandante, in diplomazia come ambasciatore in tutto il Medio Oriente e in India. … Nella sua vita Amedeo è stato sempre uno che ha dato, non uno che ha preso, uno che ha ispirato e ispira amore. E' stato, come egli stesso ama dire, un uomo fortunato. Più fortunati di lui, però, sono coloro che l'hanno conosciuto".

    Quest'ultima frase ha trovato piena conferma nelle sensazioni raccolte dai partecipanti alla cerimonia di inaugurazione della mostra. L'affabilità, la passione, lo spirito giovanile di Amedeo Guillet hanno colpito tutti, sorprendendo chi non aveva avuto la fortuna di averlo conosciuto in precedenza. Quella che poteva sembrare una delle tante manifestazioni culturali, più o meno di successo, è diventata una partecipazione corale e convinta di persone, giovani e meno giovani. Tutti sono rimasti affascinati dalla personalità di questo grande uomo solo in apparenza di altri tempi, in realtà lucidamente vicino al mondo di oggi.

    Amedeo Guillet è sopravvissuto a cinque ferite riportate in combattimento nelle diverse campagne condotte dopo la sua nomina a sottotenente di cavalleria nel reggimento Cavalleggeri di Monferrato nel 1932. I suoi teatri di operazione sono stati l'Etiopia, la Spagna, la Libia e ancora l'Africa Orientale, dove costituì il Gruppo Bande Amhara e combatté contro l'esercito britannico dal 1940 al 1941. Dopo la resa italiana proseguì per alcuni mesi con pochi superstiti della sua unità la "guerra privata" contro gli inglesi. Riparato fortunosamente nello Yemen, riuscì infine a rientrare in Italia in tempo per partecipare alla guerra di liberazione.

    Nel dopoguerra intraprese la carriera diplomatica come ambasciatore in Giordania, Marocco e in India, ma non dimenticò le sue vicissitudini in Africa Orientale dove tornò a più riprese per riabbracciare le tante persone che gli erano state vicine. Ritiratosi nel 1975 in Irlanda, ha continuato a dedicarsi ai cavalli, alla musica e alla pittura. Proprio in omaggio alla sua passione per la musica la cerimonia di inaugurazione della mostra di Bagnolo Mella si è conclusa con un concerto molto apprezzato dall'ospite d'onore che si è personalmente complimentato con il direttore del complesso bandistico della città.

    Anche chi già conosce questa singolare figura di italiano non può fare a meno di restare ogni volta stupito - ma più ancora contagiato - dalla sua vitalità. Piacevole sorpresa è stata anche la manifestazione, non solo per la capacità organizzativa dimostrata dai responsabili ma anche per la convinta partecipazione della gente. Lontano da televisioni, cronache giornalistiche, autorità presenzialiste.

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32 replies since 26/10/2006, 10:03   13475 views
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